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Home Località Valmarecchia

Manzi, una delle ultime coscienze di Rimini

Redazione di Redazione
9 Ottobre 2007
in Valmarecchia
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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– Luciano Manzi ha 81 anni e continua a fare l’avvocato. E’ una delle ultime coscienze critiche della città, un padre nobile. Tra i protagonisti della vita sociale e politica dal dopoguerra fino ad oggi. Nominato a 33 anni, e per 12, senza percepire una lira, presidente degli istituti ospedalieri di Rimini (con lui si è iniziato a costruire l’attuale ospedale), per 15 anni (dal ’77), ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della Carim. Per anni ha presieduto il Comitato di controllo. Con passione ha fatto politica nel Partito repubblicano italiano; eletto in consiglio comunale e in quello provinciale (Forlì).
Uno degli artefici dell’apertura dell’Università a Rimini, per anni presidente della società di gestione, oggi è presidente onorario di Uni.Rimini.
Ha ricoperto anche il prestigioso ruolo di presidente del collegio nazionale dei probiviri del Pri (Partito repubblicano italiano). Vedovo da 12 anni, ha due figli, Isabella e Roberto. Entrambi avvocati, il maschio è stato campione di spada. A squadre, ha vinto la Coppa del Mondo, il bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles. E oro e argento alle Universiadi (le olimpiadi degli universitari).
In quale ambiente familiare è cresciuto?
“Sono del Borgo San Giovanni. Il babbo era commerciante. Nel ’35-’36 siamo venuti ad abitare in centro, a palazzo Rastelli (oggi c’è l’Oviesse). Nel ’40, siamo andati in via Mentana, dove abito ancora oggi. Frequentato il Classico e laureato nel febbraio del ’48. Sono avvocato dal ’51. Da ragazzo pensavo di intraprendere la carriera diplomatica, ma ero figlio unico. I miei genitori non sono mai stati un ostacolo, ma nei loro occhi leggevo il no”.
Lei fa una professione che ha a che fare con il litigio, in lei si modifica qualcosa?
“Il bravo avvocato è colui che cerca di contribuire a far giustizia; è chiaro che deve tutelare il cliente. Il problema è il rapporto col cliente. Ho sempre ripudiato il cliente che voleva fare quello che voleva. Appartengo a quella categoria di avvocati che arriva a consigliare di abbandonare la causa se è persa. Purtroppo oggi gli avvocati sono innumerevoli; è una specie di professione parcheggio. Si è in tanti e tutti devono vivere; così spesso le cause si inventano. Probabilmente contribuisce anche la lentezza della giustizia, mentre deve essere sollecita e pronta. E questo è un’altra cosa che contribuisce alla mia delusione. Negli ultimi tempi mi delude un po’ tutto; io che sono sempre stato un ottimista”.
Nella sua esistenza, chi ha contato di più?
“Mio padre, uomo dalla dirittura morale incredibile; oggi inconcepibile. Se si accorgeva che il cliente aveva pagato in più, il giorno dopo la somma gli veniva restituita.
Un bell’esempio è stato anche Giuseppe Pauselli, mio predecessore alla presidenza degli ospedali di Rimini. Le suore gli regalarono un mazzo di fiori per il suo onomastico, attingendo ai fondi pubblici. Li rimise nelle casse, attingendo al proprio portafoglio. Non era giusto che un regalo fosse pagato dall’ente”.
Come descriverebbe il suo carattere?
“Dovrebbero essere gli altri a dirlo. Diciamo, uno che ha cercato di ridurre i contrasti, anche in politica. Un uomo di equilibrio; mi conforta l’avere tanti amici e di trovare in loro considerazione. Alla mia età, mi cercano ancora. Una sera, ero ad un concerto con la mia nipotina; si ferma una bella persona e le dice che ha un grande nonno. Con la piccola che risponde: ‘Lo so, lo so’. E’ un po’ di vanità, come premio ad una vita spesa con spirito di servizio”.
Come vede il futuro di Rimini?
“E’ una città che non capisco più. Non lo so. Ma loro sanno quale futuro vogliono? Ho l’impressione che vadano a cercare problemi che non hanno bisogno di soluzioni, per evitare quelli che dovrebbero essere risolti. Abbiamo gli amministratori che vendono le aree pubbliche, quando le dovrebbero espropriare”.
Il professor Stefano Zamagni, dice che i riminesi si sono impossessati di pensieri tristi, che dice?
“Condivido. Stanno spegnendosi. Per chi vuol fare qualcosa è difficile. C’è il motore immobiliare dietro qualunque operazione economica. Tanti anni fa, il primo prefetto di Rimini, chiacchierando disse che i riminesi non sanno che cosa vogliono, ma lo vogliono subito. Non sanno programmarsi sul lungo periodo”.
Rimini è l’undicesima provincia più ricca d’Italia, ma al ’97° posto per le dichiarazione Irpef, che cosa pensa?
“La stagionalità è una delle situazioni che consente di non pagare le imposte e perseguirli è più difficile. Un’altra delle ingiustizie del fisco è questa: è più facile andare da chi già paga, piuttosto che perseguire l’evasore”.
Chi sono i suoi amici?
“Credo di averne una bella schiera e non mi ha mai fatto velo l’appartenenza politica. Sono un laico: rispetto tutti i pensieri. E sono un fortunato, qualcuno dimostra anche gratitudine. Sono sempre solito dire che le cose vanno fatte semplicemente perché ti va, senza aspettarti nulla”.
Quali difetti si riconosce?
“Molti. Sono permaloso, perfezionista. Non sono cattivo, però se mi fanno un torto non lo dimentico”.
I suoi hobby?
“La politica. Non è mai stata un mestiere. Mi piacciono i classici: Tolstoj, Thomas Mann, Proust, ma, d’estate, non disdegno i gialli”.
Che ricordi ha di La Malfa, Spadolini, personaggi conosciuti direttamente?
“La Malfa era un uomo incredibile; si alzava alle 4 del mattino e non vedeva l’ora che arrivassero le 5,30-6 per telefonarti. Spadolini aveva un cultura mostruosa, ma vanitoso”.
Che cosa manca agli italiani?
“Una classe politica seria. Manca la schiena diritta. Accetta queste cose; è abituato ad essere suddito. Ma ognuno ha quello che si merita. Non posso considerare seria l’azione di Grillo. Vorrei costruire di più che sulla semplice critica”.
Rimpianti?
“No. Ci sono cose alle quali avrei rinunciato ed altre no. L’esperienza agli istituti ospedalieri è stata bellissima, con tutto lo spaccato della società riminese. Gestivamo oltre agli ospedali, i ricoveri per gli anziani, gli orfanotrofi, 100 poderi con i mezzadri. Proposi case di riposo miste, per fare stare insieme le coppie e, con molta sorpresa per i tempi, il ministero le accolse”.

di Giovanni Cioria

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