– In prossimità della partenza del vescovo, per raggiunti limiti di età, e sulla scia delle recenti polemiche apparse sulla stampa locale, l’appuntamento è stato vissuto prevalentemente come un bilancio di diciotto anni di servizio pastorale a Rimini del cattolichino Mariano De Nicolò, validamente supportato dal vicario, monsignor Amati.
Si sono scontrate due posizioni: quella ufficiale degli organi curiali, ottimista e celebrativa, e l’altra, quella della base, più o meno organica, ma puntuale e decisamente critica. Quest’ultima sottolineava la distanza che l’attuale governo della chiesa riminese, nella persona del vescovo e del suo vicario, avevano sempre tenuto con la base, preti e popolo di dio compreso.
“Si è mai chiesto, eccellenza, perché da tempo sono così pochi i preti che salgono i gradini dell’episcopio?” chiedeva polemicamente con amarezza don Giancarlo Moretti. Le scelte pastorali, cambiamenti compresi, più che proposti, sono stati imposti, omettendo qualsiasi dialogo con i preti interessati e le loro comunità.
L’assenza di un governo compartecipe della chiesa ha fatto crescere lo scoraggiamento, ha spinto le parrocchie in una sorta di isolamento, dove ognuno procede per proprio conto all’insegna del “si salvi chi può”, come di norma accade in condizioni di disagio.
Ma questa è solo una faccia della medaglia presentata alla “tre giorni”. Ci resta da analizzare la seconda, quella “buona”, decisamente presentata dal vicario generale, Monsignor Amati, nelle conclusioni dell’ultimo giorno.
Le sue affermazioni sono state poche, ma con il notevole vantaggio della chiarezza, prima, e del peso poi.
Prima affermazione: “Il vescovo ha avuto sempre un alto apprezzamento ed un profondo amore per i preti di Rimini”. A questo punto qualcuno dei preti presenti si è preoccupato di far circolare un aneddoto di Pier Paolo Pasolini, il noto regista e scrittore. Era in seminario presso i Barnabiti. Avendo deciso di uscirne, incrocia sul portone il Rettore che gli dice: “Eppure in questi anni ti ho voluto bene!”. Al che, lui serio risponde: “E perché non me l’ha detto prima?”.
Seconda affermazione: “Il vescovo ha amato così profondamente la chiesa riminese che per lei ha rinunciato a fare carriera!”. Risulta facilmente evidente ad ognuno il parallelo con la frase evangelica: “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio”, che inconsciamente il vicario parafrasava.
Qualche maligno, a questo punto, si è chiesto ed ha chiesto agli altri: Ha amato la chiesa riminese o i beni della chiesa riminese?”.
La terza affermazione riguarda il vicario stesso: “Adesso sono disposto a rientrare nei ranghi”. “Staremo a vedere” commenta l’uditorio.
A proposito della sistematica campagna di stampa intrapresa dalla “Voce di Rimini” molti preti si sono chiesti quale fosse il suo obiettivo, poiché stavolta non era il vescovo ad essere preso di mira, ma piuttosto i preti di Rimini, o meglio, un gruppo di essi, con tanto di nome e cognome, accusati di aver fatto fuori Biancheri prima, Locatelli poi; ed ora anche Mariano. Un governo ombra che avrebbe impedito ai vari vescovi di compiere liberamente il loro ufficio, tanto da costringere due di essi a dimissioni premature.
E’ questo lo spauracchio che il giornale agita in vista dell’insediamento del nuovo vescovo, con l’intenzione evidente di avvertirlo perché possa correre ai ripari per tempo. Il problema di fondo resta sempre insoluto, difficile da affrontare. Nonostante lo spirito e le direttive del recente Concilio spingessero verso una chiesa collegiale, tali indicazioni restano attualmente disattese, lettera morta.
Gli estimatori di una chiesa piramidale, verticistica, che si impone più che proporsi, sono ancora molti, anzi troppi. O meglio, sono quei pochi che contano. Ma l’empasse è sotto gli occhi di tutti.
di Pier Giorgio Terenzi
Parroco a Montefiore Conca