Mi è piaciuto l’articolo dello scorso dicembre, della “Piazza” di Angelo Chiaretti che, con breve escursus storico, preannunciava l’avvenimento. Mi trovo pienamente d’accordo con il nostro esperto dantista sull’analisi delle popolazioni romagnole che da sempre male sopportarono il peso vessatorio dello Stato della Chiesa di Roma.
Vorrei aggiungere che, subito prima della conquista militare di Carlo Magno, fu suo padre, Pipino il Breve, nel 756 a fare dono alla Chiesa di Roma, delle terre dell’Esarcato e della Pentapoli, che aveva appena sottratto ad Astolfo, re dei Longobardi.
Dono che elargì al papa Stefano II, il quale, in contropartita, si era recato personalmente in Francia per incoronare Pipino, quale Re dei Franchi. La richiesta di quelle terre nostrane da parte del papa era suffragata da un falso documento, il cosiddetto “Costituto di Costantino”, ovvero “Donazione Costantiniana” che per molti secoli la Chiesa contrabbandò come vero. Tale atto decretava che Costantino avesse regalato al papa Silvestro I e a tutti i suoi successori le terre di Occidente. Non si sa chi abbia materialmente forgiato questo falso, se sotto Stefano II o sotto il suo predecessore, papa Zaccaria.
Certo è che fu scoperto soltanto molto tempo dopo dagli umanisti del ‘400: Niccolò Cusano Costantino aveva donato alla Chiesa, non solo la terra delle Romagne, della Marca ed il ducato di Roma, ma tutta l’Italia, anzi l’intero Occidente.
Nonostante esistessero leggi che punivano severamente i falsificatori, il falso diventava una risorsa normale delle alte gerarchie ecclesiastiche.
Nel suo volume “Medioevo barbarico in Italia” Ed. Einaudi, pagina 305 Gabriele Pepe scriveva: “La società barbarica, povera di critica, povera di cultura, è tradita da questa Chiesa che, per salvare i suoi beni avendo perduto la salvezza che viene da Dio, dalle forze dello spirito, si affida al falso. Non è il reato comune che ci interessa, è il documento di una trasformazione radicale del Cristianesimo, che dalle mura del Laterano irradia nel mondo cristiano la rete fittissima di false decretali, nelle quali si impigliano i grossi bocconi della ricchezza e dei privilegi”.
Questo risultato referendario, che sarà foriero di modifica delle carte geografiche e storiche delle terre interessate, le quali diventeranno Provincia di Rimini, vedrà la sua affermazione pratica fra qualche anno, cioè nel tempo burocratico necessario a dar luogo alle conseguenti modifiche nella documentazione istituzionale dei pubblici registri, delle insegne stradali e dei confini, nonché nell’animo che alberga nello spirito degli abitanti di quella parte della Valmarecchia e del Montefeltro.
Più precisamente sono i sette Comuni di: Pennabilli, San Leo, Talamello, Novafeltria, Sant’Agata Feltria, Maiolo, Casteldelci.
Silvio Di Giovanni