Il particolare di cui parlo si trova verso la fine dell’articolo, là dove Diamanti osserva che si sta diffondendo l'”insicurezza” dei cittadini, favorita dalla scomparsa dei “tradizionali meccanismi di integrazione e di controllo sociale: i legami di famiglia; le reti degli amici e di vicinato; le cerchie comunitarie [?]. E la strada, la piazza: hanno smesso di essere luoghi sociali, devastati dal traffico e dalle rotatorie”. Ecco: a questo punto Diamanti menziona i bar (e aggiunge: “Non sono più luoghi sociali, accoglienti. Ma luoghi di consumo, per lo più anonimi. Che i più giovani frequentano, restando fuori, in piedi”), e a me viene in mente il vecchio accoglientissimo Caffè Commercio di Cattolica, situato all’angolo settentrionale tra via Matteotti e viale Bovio, di fronte alla casa dell’indimenticabile Guido Paolucci: scomparso, come il suo illustre dirimpettaio: “assorbito” da quanto di più anonimo, freddo e asettico si possa immaginare: una banca.
Che c’entra, si dirà, il Caffè Commercio con il delitto di Cogne? C’entra, c’entra, come il discorso di Diamanti dimostra. Non nel senso, per carità, che a Cattolica possa capitare qualcosa di simile. Ma nel senso che la scomparsa dei vecchi, spaziosi bar di un tempo contribuisce a ridurre il controllo sociale, isola sempre più, atomizza e rende le persone, soprattutto nei piccoli centri poveri di risorse culturali, sempre più vulnerabili dalle loro pulsioni inconsce.
Dov’è più, per esempio a Cattolica, un bar spazioso e frequentato da ogni ceto sociale, con i suoi angoli per scacchisti, giocatori di carte, o di biliardo, pensionati, vecchi marinai, sfaccendati, appassionati di cinema, di sport o di politica, come il Commercio? Dovunque, per effetto dell’esplosione dell’economia diffusa e della globalizzazione di cui parla Diamanti, i bar diventano sempre più piccoli (un cappuccino e via), e le banche sempre più numerose (un bonifico e via), con effetti devastanti di disgregazione metropolitana.
Inutile chiamare “città” i vecchi paesi, magari soltanto per sottolineare che anche in essi strade e piazze non sono più luoghi sociali: Cattolica, Riccione, Sant’Arcangelo, Gabicce Mare (!). Devo confessare, a costo di dispiacere ai miei concittadini, che sento di compiere uno sforzo tutte le volte che devo dire o scrivere: “la città di Cattolica”.
Come va chiamata, allora, Roma? Non posso più dire: “Roma è la più bella città del mondo”? Come dovrò dire? Ma questa è solo ubbia da vecchi, che non conta niente.
Diamanti elenca i fatti di sangue avvenuti nella provincia del Nord’Italia (sottolineo: nella provincia, e sottolineo: la Padania di Bossi!): Carretta che nel 1988 ammazza padre, madre e fratellino; Desirée Piovanelli violentata e uccisa il 4 ottobre del 2002 con la complicità di un adulto compaesano; Erika che ammazza madre e fratellino; Gatti che nell’agosto 2005 ammazza gli anziani zii; il piccolo Tommaso Onofri ucciso per estorsione da compaesani; Assunta Seghetto uccisa da un nipote ventenne nel settembre 2006; infine, la recentissima, orrenda vicenda di Erba. Che presenta un’altra componente del quadro, destinata a colpire in profondità l’ideologia xenofoba della Lega Nord: l’iniziale incriminazione popolare del tunisino padre e marito di due delle vittime, spalleggiata dai benpensanti nordisti e aennini.
Personalmente non ricordo delitti simili commessi da extracomunitari, se non uno sgozzamento compiuto da un musulmano che rifiutava l'”occidentalizzazione” della figlia. Non sarà ora di finirla con la polemica contro il centro-sinistra, accusato di complice buonismo verso gli extracomunitari? Siamo sempre noi italiani che uccidiamo!
Molti di questi delitti maturano all’interno delle famiglie. Diamanti non se ne occupa, questa volta, ma occorrerà pure cominciare a riflettere sul fatto che la maggior parte delle violenze dei pedofili avviene nelle famiglie. La Chiesa fa quello che può, per inculcare nelle famiglie i principi di mansuetudine e di rispetto propri del cristianesimo. Ma le famiglie non sono, di per sé, per il solo fatto di essersi formate dinanzi al prete o al sindaco,una salvaguardia contro la violenza e il male.
Checché ne pensino a Roma le gerarchie ecclesiastiche, forse c’è meno presenza della pedofilia e delle violenze all’interno delle tanto esecrate unioni di fatto.
di Alessandro Roveri Professore di Storia contemporanea all’Università di Ferrara