Impregnava totalmente il retro della tela, formando, allentandosi, grandi e rovinose pieghe. Dopo la foderatura, l’eliminazione degli spessi strati di ridipintura e con la pulitura finale, l’opera è emersa in tutto il suo splendore con chiari caratteri di scuola emiliana e successive ricerche mi hanno portato alla conclusione che l’autore fosse Guercino.
Ho contattato due amici, storici dell’arte di valore, Riccardo Gresta e Marisa Baldelli che hanno confermato la mia attribuzione: è Guercino, uno tra i più grandi pittori del 1600″. Così Donatella Renzaglia, restauratrice in Pesaro dal ’98, racconta la bellissima scoperta: “La visione di San Girolamo”.
La tela è un ovale di notevoli dimensioni (cm 230 per cm 156) e si trovava nella chiesa del convento di San Girolamo di Misano.
Rovinatissima, l’idea di restaurarla è di Enza Bilancioni e Mario Busi; mentre dalla Banca Popolare Valconca arriva il sostegno economico.
Perché Gresta e Baldelli ipotizzano che sia un Guercino? “L’opera – affermano i due storici, il primo insegnante al Liceo d’arte di Riccione, l’altra di Pergola – è impressionante per concezione e magistrale nell’esecuzione; al punto che soltanto un grosso maestro di scuola bolognese può averla realizzata. Ciò che colpisce è l’atteggiamento, la posa calcolata e teatrale della figura, tipica di gran parte della pittura del Seicento italiano e frequente nei quadri del Guercino, posteriori al suo soggiorno romano. In quest’opera, che si mostra differente dalla figure di San Girolamo dipinte dal Guercino da giovane, in cui sfogò la propria fantasia con atteggiamenti e pose inventate e anche un po’ originali (vedi la Visione di san Girolamo al Louvre, 1619-1620*). Nella tela misanese il Guercino riconduce tutto a una posa teatrale molto simile al San Girolamo datato 1641 e conservato a Rimini al Museo della Città, in deposito dall’87 dalla Confraternita del San Girolamo (Pier Giorgio Pasini, 2003**).
Dal punto di vista stilistico, la testa è forse l’elemento più specifico della mano dell’artista. Nei dipinti databili dal 1619 al 1620 si possono ritrovare un certo numero di teste di vecchi eseguite con un tocco spezzato, molto simile a questo san Girolamo (vedi “Elia nutrito dai corvi”, 1620, oppure “Testa di vecchio”, 1619-1620, entrambi della collezione sir Denis Mahon***).
Caratteri che poi Guercino ha sempre conservato nella rappresentazione di figure anziane, tanto da diventarne una peculiarità del suo stile. Tuttavia, va specificato che questa tela non appartiene agli anni ’20, ma la composizione organizzata nel suo insieme con un esemplare equilibrio di tutti gli elementi riconduce a opere più tarde, attorno al 1650. Da imparentarle a dipinti riferibili, come la “Maddalena penitente” del 1649 (New York, collezione privata), o le “Stimmate di san Francesco” di Genova****.
Opere dove compare il motivo della grotta con folta vegetazione, di fattura quasi pre-romantica, come nel quadro misanese.
Tutti segni, sia iconografici, sia stilistici, che fanno pensare ad un’opera riconducibile in gran parte al Guercino. Il maestro crea una composizione organizzata nel suo insieme, con un esemplare equilibrio di tutti gli elementi. L’opera è caratterizzata da una luce calcolata con estrema cura e controllata da una squisita sensibilità; si svolge su un registro di un potente colorito. Notevole rispetto al san Girolamo di Rimini. La luce è qui usata in maniera particolarmente magistrale, non quale mezzo di esplorazione dei dettagli ma come rivelazione spirituale.
Il dipinto mostra dettagli di grande intensità, come l’invenzione della croce composta da semplice legno legato con delle corde e illuminato da un sottile filo di luce che ne definisce i contorni, oppure il bellissimo particolare della vegetazione che si staglia sull’alba; quest’ultimo dettaglio compare in altre opere di questi anni, come nel “San Francesco inginocchiato in contemplazione del crocifisso” di Bologna (1645*****).
A questo punto occorrerebbe una maggiore disamina del dipinto e analizzare se tutta l’opera sia più o meno autografa del maestro; certi particolari, come la roccia, sembrano di fattura più debole, esercizi più di maniera, forse.
Sappiamo che il Guercino si serviva di una folta schiera di collaboratori, uno dei quali, Lorenzo Gennari, nel 1647 risulta trasferito a Rimini. Ciò spiega perché il Malvasia lo chiama ‘Ariminese’******. Appare però improbabile che sia la mano di Gennari, in quanto la sua pittura riflette lo stile del Guercino che precede il suo viaggio a Roma nel 1621-1623 e quella del cambiamento di stile che avvenne al suo ritorno e che si protrasse sino agli inizi degli anni Trenta.
“L’ipotesi più affascinante è scoprire come mai l’opera è giunta a Misano nella chiesa del convento di san Girolamo e finora passata del tutto inosservata. Tanto che le fonti locali o non la citano affatto e l’attribuiscono erroneamente alla scuola tedesca*******. Guercino ha avuto forte relazioni con Rimini attraverso un commerciante della città, Francesco Manganoni, che acquistò una ventina di quadri dall’artista dal 1659 in poi. Però questo dipinto non reca il timbro della collezione Manganoni. Anche se si potrebbe ipotizzare un possibile legame tra questa famiglia riminse e qualche famiglia locale, come i Simbeni. Oppure, potrebbe esser stato realizzato per qualche oratorio dei gerosolimitani e in seguito alla soppressione napoleonica pervenuto al convento di Misano Adriatico, completato nel 1902. Il legame dell’artista col territorio lo si può leggere nella parrocchiale di Misano Adriatico, dove è custodita una copia della fine del ‘600 raffigurante santa Barbara, forse dovuta al pittore riminese Angelo Sarzetti********. Tutte queste ipotesi vanno approfondite attraverso una lettura attenta del “Libro dei conti” dell’artista, delle guide locali, o dei documenti d’archivio, come sarebbe interessante approfondire le vicende compositive dell’opera attraverso la ricerca di eventuali disegni preparatori, o copie di allievi, ammesso che ne esistano”.
La rivelazione di quest’opera ai misanesi e ai riminesi è offerta quale simbolo del loro patrimonio artistico, troppo spesso malauguratamente disperso, o non del tutto conosciuto.
Note
*L. Salerno, “I dipinti del Guercino”, Roma, 1988, tavola 11, tavola 13, figura 60.
**P. G. Pasini, “Guercino ritrovato, collezioni e committenze riminesi, 1642-1660”, Milano, 2002, tav. 2 (con bibl. prec.).
***L. Salerno, op. cit., fig. 62, fig. 68; “G. F. Barbieri il Guercino, 1591-1666”, catalogo della mostra a cura di sir D. Mahon, Bologna, 1991, fig. 41, fig. 43.
****L. Salerno, op. cit., fig. 264; fig. 265.
*****Il Guercino…, op. cit., fig. 100.
******P. Bagni, “Benedetto Gennari e la bottega del Guercino”, Bologna, 1986, pag. 223-224.
*******V. Rossi, “Misano Adriatico ieri oggi”, Villa Verucchio, 1984, pag. 138-143; idem, “Patrimonio artistico del passato e di oggi” in “Storia di Misano Adriatico dal 1500 ai nostri giorni 2”, Rimini, 1993, pag. 170.
********P. G. Pasini, op. cit. fig. 5.