– Samuele Rosa ha 37 anni. Riccionese col babbo originario di Coriano, mamma svedese, moglie lettone, due figlie, è funzionario del Fmi (Fondo monetario internazionale), con sede a Washington. Insomma, è in uno dei luoghi finanziari che vigila e indica i destini di molte nazioni. Attualmente, si sta occupando dell’azzeramento del debito dei paesi dell’Africa Occidentale.
La sua avventura inizia contro la volontà del babbo (oggi, il babbo, lavora in una banca d’affari che si occupa del rilancio di aziende in crisi), che lo vorrebbe dedicato al marketing e alla finanza. Ma Samuele ha nel Dna il talento per la matematica e l’econometria. Per la ricerca. I massimi sistemi economici. Si iscrive alla prestigiosa Bocconi di Milano, per seguire la propria vocazione: economia politica. Studioso.
Parte subito forte. Il primo lavoro è nella Commissione europea; prima in Lussemburgo e poi a Bruxelles. Siamo nel ’96-’97. Si occupa dell’andamento del mercato delle materie prime dei prodotti agricoli. Uno studio che sarebbe servito ai commissari (ministri) dell’Unione europea per definire le politiche di sostegno agli agricoltori e ai fondi strutturali.
E’ un lavoro vibrante, ma non vicinissimo ai suoi studi di economia politica. La sua grande chance gli arriva da un concorso per macro-economisti nel neonato Istituto monetario europeo, l’embrione della Banca centrale europea (la Bce). Vince il concorso; è assunto. Lavora nel dipartimento economico che si occupa dei flussi finanziari tra i paesi dell’euro e quelli fuori. Un tema forte, è l’acquisto di titoli di stato da parte dei residenti nell’Unione europea fuori.
Il riccionese si è anche occupato, sempre per la Bce, del deprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro nei primi anni del 2000; sapere che cosa determina il cambio per definire le condizioni reali dell’economia.
Dice: “Gli economisti sono su una montagna con un binocolo e scrutano le eventuali tempeste finanziarie in arrivo, come una pioggia dopo il garbino. L’analisi e le previsioni suggeriscono gli strumenti efficaci per chi governa la Banca centrale europea”.
La sua vita è lavoro, ma continua lo studio. Si iscrive ad un corso di specializzazione all’Università di Francoforte sulla Finanza internazionale.
Un’altra tappa fondamentale della carriera del talentato Rosa è nel 2000. La Bce lo manda a Washington, dove ha sede il Fondo monetario internazionale, per un corso di specializzazione. Gli chiedono una presentazione della politica monetaria della Bce. Probabilmente la relazione piace; gli chiedono di restare. Il Fmi ha circa 1.100 addetti, una quarantina sono gli italiani.
Passione per la musica (soprattutto la classica, strimpella anche il pianoforte), per la bici (a Washington va a lavorare sulle due ruote mulinando 30 km al giorno tra andata e ritorno), i suoi amici riccionesi d’avventura di gioventù sono Gian Luca Pasolini e Sandro Copioli. Le sue acque sociali riccionesi spaziano sull’asse Riccione Paese-Colle dei Pini.
Con Rosa non si può non parlare del metodo e costume degli altri: americani, cinesi. Dato che “In America – argomenta – sono bravi; la carriera si sviluppa sulla base del merito. Dove contano la capacità delle idee e il saper realizzare cose migliori degli altri, al di là di come la pensi politicamente. Si parte da quello che loro chiamano vision (visione), cioè da dove vieni, chi sei e dove vuoi andare. E su questo si vanno a cercare le risorse migliori. Poi c’è la responsabilità di quello che fai e su questa arriva la fiducia. A differenza di quanto avviene in Italia, le informazioni devono circolare e nessuno le deve tenere per sé. Va detto che i romagnoli su tali approcci hanno la naturalezza di saper far bene. Credo che le cose belle che facciamo all’estero, vanno valorizzate anche qua. Quanto detto non è una lezione di vita, ma soltanto pensare di incidere in modo positivo sulla vita della gente”.
“Gli italiani – continua Rosa – hanno la capacità naturale di gestire le risorse umane. La mentalità anglosassone è meno aperta. Porto un aneddoto. Quando al Fondo monetario si dovevano monitorare i flussi finanziari e capire dove portavano le conseguenze; cioè dove andavano a finire i soldi. E spesso erano i paradisi fiscali. Il calcolo era complicato; metteva insieme i saperi degli informatici, degli economisti, degli statistici. E non ne venivano a capo; con davanti 2-3 mesi di lavoro. Mi affidarono il compito. Capii che le difficoltà, dato la babele delle nazioni, era il linguaggio dei colleghi. Utilizzai il tempo per capire attorno ad una tazza di caffè. Venne rifatto tutto dalla ‘a’ alla ‘z’. Il grande calcolo, al quale stavano lavorando uno staff di 25 persone, venne risolto in pochi secondi”.
E i cinesi? “Gli italiani nel loro immaginario hanno un ruolo di prestigio. Sono amanti della lirica e della canzone napoletana. Insieme possiamo fare delle cose”.
A chi gli chiede come si fa a far andar bene una nazione, risponde: “Al centro non vanno messi i soldi, il guadagno, ma la passione per quello che si fa. L’atto creativo. Se non continui a nutrire la passione, e punti tutto sui meccanismi finanziari, l’azienda muore. E’ solo su queste basi che è possibile motivare i propri collaboratori. Non sono prediche; negli Stati Uniti si parla di questo nei convegni. E io dico che in Italia questo è una tradizione che ha oltre 2000 anni di storia e che potrebbe essere sintetizzato nel culto del bello che abbiamo nel nostro Paese. Purtroppo, da troppo tempo non abbiamo più fame, la leva della miseria, e questo porta sterilità. Si può superare lo scoglio attraverso l’educazione, la sobrietà della famiglia. L’umiltà”.