L’INCHIESTA
di Silvio Di Giovanni
A Monteluro (San Giovanni in Marignano) 500 anni prima Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, nella stessa direzione di attacco, affrontò le truppe del papa Eugenio IV e del suo alleato il re di Napoli Alfonso di Aragona
– “Con la guerra in casa, per la popolazione il settembre 1944 fu il peggiore tra i 13 trascorsi sotto l’occupazione nazista: un continuo succedersi di battaglie, bombardamenti, prove spaventose per i civili nascosti per settimane in piccoli e malsicuri rifugi, un mese di atrocità e di eroismi per chiunque si trovasse sotto il fuoco tedesco o le bombe alleate che caddero da cielo, terra e mare. Tutto il territorio subì distruzioni: i campi dissodati dalle granate, i centri abitati maciullati dagli scontri quotidiani, in paesi come Gemmano, Croce, Coriano e Mulazzano nulla venne risparmiato”. Così Fabio Glauco Galli sintetizza il passaggio della Seconda guerra mondiale (1939-1945) nelle strade polverose e i ritmati filari delle viti della provincia di Rimini ne “La città invisibile: segni storie e memorie di pace, pane e guerra”, uno tra i più completi libri scritti sulla guerra in casa nostra.
La guerra
L’azione dell’esercito degli alleati per lo sfondamento della Linea Gotica (che era una serie di fortificazioni sulla sponda sinistra del fiume Foglia che dal mare si inoltrava all’interno fino oltre l’Appennino e fino al Tirreno), era cominciata la sera di quel venerdì 25 agosto quando l’impazienza di Churchill, primo ministro inglese, venne soddisfatta dall’inizio dell’attacco per l’attraversamento del Metauro dalle truppe dell’VIII Armata del generale Alexander, il cui maggior corpo era costituito dai Canadesi.
Tra la fine d’agosto e il primo di settembre ebbe luogo a Monteluro la battaglia per la conquista di quella posizione. Dalla Levata, piccolo borgo di 7-8 case nell’estremo lembo verso nord-est del Comune di Saludecio, dove chi scrive era sfollato, nel pomeriggio di quel venerdì 1 settembre vedemmo un pesante bombardamento sul crinale di Monteluro, poi gli alleati ebbero ragione dei tedeschi, sempre però al costo di ingenti perdite umane.
Per una singolare coincidenza, come ricorda Amedeo Montemaggi nel suo “The Gothic Line” (la Linea Gotica) in bilingue assieme a Bill McAndrew (pagina 88), quella battaglia dei canadesi fu intrapresa negli stessi luoghi e nelle medesime direzioni di attacco, ove poco più di 500 anni prima la storia ricorda la vittoriosa battaglia di Sigismondo Pandolfo Malatesta, allora ventiseienne, con il suocero Francesco Sforza contro le armate del papa Eugenio IV e del suo alleato il Re di Napoli Alfonso d’Aragona.
Sigismondo fu personaggio coraggioso e brillante, valente condottiero, estimatore delle arti e mecenate. A soli 14 anni dovette iniziare a difendersi e a combattere, come fece nella battaglia nei pressi di Fano sulla sponda del Metauro contro Guido da Montefeltro e Galeazzo Malatesta da Pesaro, entrambi col sostegno della Chiesa.
Lui stesso poeta, dedicò il suo Tempio di Rimini alla sua amata poetessa Isotta degli Atti, sua terza moglie che, a differenza dei due primi matrimoni, sposò per amore.
Le interessate sanzioni quali la scomunica, giustificate dalle menzogne divulgate, nei confronti di Sigismondo, dal Papa Pio II (al secolo Enea Silvio Piccolomini), astuto alto prelato della Chiesa di Roma che mirava a prevalere e conquistare tutte le terre di Romagna anche screditando con le calunnie il Malatesta, non trovano conferma ai riscontri storici.
Sigismondo, nello stesso Tempio fece seppellire nei pressi della sua futura tomba, le spoglie mortali da lui portate dalla Grecia, del grande umanista e filosofo greco Giorgio Gemisto Pletone che conobbe quando questi venne in Italia quale consigliere al seguito dell’Imperatore Giovanni VIII Paleologo con la delegazione greca al Concilio Ecumenico a Ferrara nel 1438, trasferito poi a Firenze e concluso nel 1443. Gemisto fu presso Cosimo de’ Medici, al quale suggerì l’idea di riattivare l’antica Accademia poi, pubblicando i suoi scritti sugli impellenti argomenti del momento, suggerì e raccomandò ai potenti delle tre grandi religioni monoteiste la sua idea di ridimensionamento delle pretese detentorie di verità assoluta che, se ascoltate, avrebbero potuto evitare all’umanità i successivi secoli di destabilizzazioni acuiti dalle lotte di religione.
Chiedendo scusa per la digressione storica, mi accingo a ritornare alla narrazione dei giorni nostri. Da noi sul Tavollo arrivarono nella notte tra il 1° e il 2 settembre e, la mattina presto di quel sabato, di cui conservo una vivida e presente memoria come se fosse successo ieri, risalirono (dopo il torrente attraversato facilmente data la poca acqua), la modesta pendenza del sentiero che giungeva al nostro borgo di case.
Le fortificazioni fogliensi, cui Hitler e i suoi generali avevano fatto affidamento sulla capacità di bloccare l’avanzata degli alleati per dei mesi, furono sbaragliate in pochi giorni.
Gemmano però, assieme a Coriano, Croce, San Savino, Montecolombo, Montescudo, rappresentarono una battuta d’arresto all’avanzata dei liberatori. A Rimini arrivarono solo il 21 settembre.
NUMERI
San Marino, 100mila sfollati
– San Marino come nazione indipendente e neutrale era un’oasi di pace. Alla fine del ’43, per sfuggire ai bombardamenti, accoglieva 7mila persone. Che diventano il doppio nel giugno del ’44 con l’intensificarsi dei bombardamenti. Nell’afoso agosto-settembre dello stesso anno per sfuggire alla guerra diventarono 100mila. Si “accalcavano ovunque, in tutte le frazioni, in tutti gli angoli, anche e soprattuttto nelle gallerie ferroviariee della linea Rimini-San Marino”. Ma l’antica repubblica subì il bombardamento Alleato il 6 giugno del ’44, che fece 56 vittime e l’ingresso dei tedeschi in ritirata.
LA CITTA’ DI RIMINI
Estate ’44, Rimini ‘paesotto’ con 3.000 anime
– Rimini contava 40mila abitanti (quasi quelli di Riccione di oggi), per la sua lingua di pianura rappresentava il lato debole della Linea Gotica, gli Alleati la sottoposero ad un devastante attacco per aprire il sistema difensivo tedesco. Gli abitanti l’abbandonarono; non ne restarono che 3mila. Il primo bombardamento aereo fu il 1° novembre del ’43; 68 i morti. Al 28 agosto, aveva conosciuto 92 giorni di incursioni aeree alleate, pari a 372 bombardamenti. Il 30 settembre ci fu l’ultimo attacco aereo e questa volta furono i tedeschi. L’82% degli edifici di Rimini fu danneggiato, il dato più alto tra le città italiane.
La battaglia per l’affondo della Linea Gotica inizia il 25 agosto sui fiumi Metauro e Foglia. Gli Alleati liberarono Rimini il 21 settembre. L’arrivo delle truppe alleate negli altri paesi del Riminese:
Montegridolfo (31 agosto)
Cattolica (2 settembre)
Fontanelle (3 settembre)
Riccione (4 settembre)
Montefiore (4 settembre),
Gemmano (15 settembre),
Trarivi (16 settembre),
Coriano (17 settembre),
Riccione Alba (18 settembre),
San Marino (19 settembre),
Verucchio (21 settembre),
Santarcangelo (23 settembre)
GEMMANO, LA NOSTRA CASSINO
LA STORIA
di Silvio Di Giovanni
Nel settembre del ’44 fu ridotta a “brandelli di case”
La campagna di Gemmano era il rifugio degli sfollati pensado che il luogo fosse al sicuro
– La ridente collina di Gemmano, sovrastante la Strada Provinciale che da Morciano risale la Valle del Conca, era un superbo spettacolo della natura con i suoi filari di viti maritate all’acero e al pioppo, che disegnavano i verdi campi nella primavera del ’44 e nel giallo delle stoppie che intervallavano le verdeggianti vigne, in quell’agosto purtroppo foriero della immane ed imminente tragedia.
La mano dell’uomo o meglio il paziente e sapiente lavoro del contadino, con le sue braccia, coadiuvato dall’aiuto dei buoi (due coppie dei quali rappresentavano ancora l’espressione della massima forza naturale possibile nella storia dell’umanità, fino a prima della guerra nelle nostre campagne), avevano offerto una stupenda veduta di quella salita dalla valle ove i campi lavorati, interrotti dalle cavedagne, mostravano tutta la bellezza della natura e l’arte che promana alla vista di ciò che l’uomo sa offrire col suo lavoro.
In cima alla collina, la chiesa con il suo campanile e le vecchie case costruite con sobria funzionalità alla vita del borgo cintato dal residuo di vecchie mura, completava in una ridente cornice la parca vita di allora ai margini dell’attività agreste.
Guardare in alto il mattino dalla valle sottostante, quando la collina è “vestita già de’ raggi del pianeta”, per dirla con dantesca memoria, avrà sicuramente assicurato e rincuorato lo spirito di tutti quegli sfollati che arrivavano da Saludecio, da Mondaino, da Riccione, ecc… e vi salivano, avendo scelto Gemmano quale luogo più sicuro per sfuggire al pericolo dell’imminente passaggio del fronte di guerra.
Certo che, peggio, non avrebbero proprio potuto scegliere. Ma chi poteva saperlo?
Pochi tedeschi che venivano rimpiazzati dopo le perdite, annidati sulla vetta all’interno del borgo di case, abbondantemente armati di mitragliatrici e cannoni, tennero a bada per quasi due settimane il fronte di guerra.
Per espugnare Gemmano, le forze alleate dovettero bombardare quel piccolo nucleo edilizio e la campagna sottostante e circostante, sia dal mare che dal cielo e da terra con un impressionante impiego di cannoni, di navi e di aerei.
L’intero piccolo agglomerato urbano fu completamente distrutto e Gemmano è passato alla storia militare come “la Cassino dell’Adriatico”.
I morti giacevano in putrefazione e nell’aria aleggiava una sinistra visione di allucinante realtà in un putrido fetore.
Tra gli alberi squarciati e maciullati, i campi zeppi di buche e l’erba resa grigia e giallastra dalle esplosioni, giacevano i cadaveri abbandonati nelle più svariate posizioni.
I corpi senza vita dei tedeschi, degli alleati e dei civili a volte ammucchiati, a volte isolati sotto le macerie delle case dei contadini e del paese, dove avevano cercato invano riparo per non morire, mostravano tutto il racapricciante risultato di ciò che è la guerra.
Scene di desolazione, che l’esplosione delle bombe e delle granate avevano prodotto in quel che restava della ridente collina del mese prima, erano l’allucinante visione.
Quasi 900 morti tra i militari tedeschi. Giovani baldanzosi, invasati e fissati alla idea dell’ubbidienza cieca agli ordini superiori, come una macchina di morte senza senso e senza ragione, con la presunzione di aggredire, soggiogare e conquistare il mondo.
Purtroppo sono morti anche i civili, anche gli abitanti, i contadini e gli sfollati, che credevano di trovare riparo nella campagna di Gemmano. Purtroppo anche alcune centinaia di soldati dell’armata degli alleati.
Tutto mi ritorna di quei giorni!
I giovani canadesi, alcuni dei quali partiti volontari e non ancora diciottenni, che da così lontano sono venuti a morire nelle nostre terre per liberarci dalle barbarie del nazismo e del fascismo.
Dalla lettura dei trattati storici di quella immensa tragedia ci ricordiamo la corrispondenza di guerra della giornalista Marta Ghellhorn, moglie di Ernest Hemingway, che, pur nella necessità di descrivere quelle crude battaglie, tuttavia sentiva e raccoglieva tutto il peso, la brutalità del momento e il dolore, concludendo così un suo scritto: “E’ terribile morire verso la fine dell’estate, quando si è giovani e si è combattuto a lungo, quando si ricordano con tutto il cuore la casa e chi si ama e quando si sa che la guerra è comunque vinta”.
“E’ terribile e si sarebbe bugiardi o sciocchi se non si vedesse e non si sentisse tutto ciò come una sventura. In questi giorni la morte di un uomo si avverte più dolorosamente perché la fine di questa tragedia sembra così vicina.”
Quando l’uomo capirà finalmente che non è la guerra il mezzo migliore per far valere le proprie presunte ragioni?
Quando capirà che la guerra è un avanzo di barbarie e che nulla si risolve con essa, ma solo si peggiora lo stato delle cose?
Sarà forse una utopia quella di sperare che un giorno lontano, forse ancora molto lontano, gli uomini che verranno, come sperava e scriveva Bertolt Brecht, sapranno e vorranno essere gentili con gli altri uomini?