L’INTERVISTA
– Carlo Tedeschi, commediografo e regista, è sposato ed ha un figlio. E’ di corporatura longilinea ed un volto incorniciato da capelli lunghi e barba che rimanda ad un’immagine importante. Si fa avanti con modi misurati e senti che in lui c’è qualcosa di diverso. Non ha hobby, gli piacerebbe molto leggere, ma preferisce stare in mezzo agli altri, o solo con se stesso.
Giuliano per passione fa l’attore e a Thomas, un amico regista, dice che bisogna assolutamente andare al teatro “Leo Amici” del Lago di Montecolombo ad emozionarsi con “Un fremito d’ali”, il musical che racconta la vita di padre Pio.
Padre Pio è l’ultimo lavoro di ben quattro sui santi di Tedeschi; ha già scritto e messo in scena san Francesco, santa Chiara e san Gabriele. Tutti sono stati accolti con un’emozione superiore soltanto al successo. Santa Chiara viene rappresentato ogni giorno ad Assisi.
Che cos’è per lei il teatro?
“Il teatro obbliga la comunicazione tra il cervello ed il corpo. Soprattutto per danzare si ha bisogno di coordinare perfettamente il cervello, i ponti musicali, il corpo e gli altri muscoli. Di conseguenza è importantissimo nel mondo di oggi, dove tutto è virtuale”.
Come si sente in questa società?
“Credo che ognuno di noi abbia bisogno di realizzare se stesso e la realizzazione di se stessi avviene secondo la propria vocazione, i propri gusti, le proprie bellezze. L’uomo è fatto da componenti positive (intelligenza, sensibilità, la nostra dolcezza, tensione e pulsione verso qualcosa, verso la verità) e negativi (l’invidia, la gelosia). Perché le due realtà opposte dentro di noi? Esistono perché possiamo riconoscerle; attraverso il bene realizziamo i nostri talenti, i doni, le nostre peculiarità.
Attraverso le componenti negative li distruggiamo. Purtroppo, averli significa riconoscerli e poter scegliere. In quest’ottica, ho cercato, proprio perché me lo ha insegnato Leo Amici in persona, al quale devo tutto, fu proprio lui ad insegnarmi questa peculiarità, questa base. Nella mia vita non ho fatto che cercare di realizzare i miei talenti. Ed è stato questo che mi ha permesso di sentirmi utile. Utile per i giovani, utile per la mia coscienza”.
Trattare Dio in teatro è un handicap, a chi si raccomanda?
“Per i testi non c’è nessun problema. Sono parole che scaturiscono proprio perché sono vita vissuta. Il raccomandarmi all’Altissimo, al Cielo, non è mai avvenuto. Credo che i miei spettacoli, come spesso sono stati definiti, siano una preghiera. Ed è la preghiera, nella mia preghiera non c’è una formula magica, o una richiesta. E’ una preghiera con l’Invisibile”.
I suoi spettacoli hanno la forza di coinvolgere, come fa ad emozionare?
“L’emozione non la procuro io, l’emozione è il cuore sensibile dell’uomo, l’emozione è la nostra anima, la nostra anima sensibilissima alla verità. Mi limito a mettere in scena qualche cosa che reputo vero e lo faccio con un’estrema onestà, con un’estrema pulizia. Cerco di farlo e di sforzarmi di farlo in ogni spettacolo. Dunque il merito non è mio, ma di ognuno di noi e della sua anima: un’anima eterna”.
Se i libri non vanno raccontati ma letti, gli spettacoli vanno visti, qual è la chiave di lettura delle cose che fa?
“La mia voglia di donare tutto quello che posseggo. Non ho mai tenuto nulla per me. Ho ricevuto tanto dalla vita. Il primo dono grandissimo è stato quello di conoscere Leo Amici, ero giovane e come tanti altri giovani ero alla ricerca di me stesso, del mondo, guardavo per la prima volta con occhi consapevoli le brutture del mondo. In questa disperazione, in questa ansia continua, conobbi quest’uomo così semplice, così umile, che mi abbracciò, che mi accarezzò e rispose a tutte le mie domande. Rispose alla mia esigenza di amore, di essere considerato, di essere capito. Di essere accettato così com’ero con tutti i miei limiti. Questa è stata la mia fortuna, una fortuna che mi ha portato al successo di oggi, ad una fratellanza, in una comunione incredibile e stupenda con Maria che era accanto a lui, un suo frutto.
C’era un’unione tra di loro profonda. Un’unione spirituale molto profonda. Che mi ha permesso di conoscere questa signora così grande, che sarebbe poi diventata mia suocera, parte integrante della mia famiglia. Mi ha permesso di conoscere Stefano, il figlio di Maria poi diventato l’autore dei miei musical. Mi ha permesso di conoscere le migliaia di persone che conoscevano Leo Amici e che da lui erano state beneficiate e di mischiarmi con la loro vita”.
Chi sono gli autori che stima di più?
“Non conosco molto il mondo dello spettacolo. Guardo con gli occhi di un bambino tutto quello che gli altri costruiscono, realizzano. Tutto quello che è serio, tutto quello che è il frutto dell’ingegno dell’uomo. Mi piace tantissimo, rimango ammirato, mi sento piccolo di fronte alle realizzazione degli altri”.
Si dice che il carattere di un uomo sia il proprio destino, come si definirebbe?
“Credo che il destino non esista. Ce lo costruiamo con le nostre mani, siamo noi a determinare ogni strada che percorriamo. Mi sento profondamente libero, nonostante io abbia conosciuto Leo Amici, nonostante appartenga in tutte le mie fibre a questo piccolo paese fuori dal mondo, come lui l’ha definito, e io l’abbia costruito insieme a tanti fratelli e sorelle, non mi sento di appartenere né a questo luogo, né a questo pianeta.
Appartengo a me stesso, a quello che a me stesso sono riuscito a realizzare. E poi devo riconoscere che quello che sono riuscito a realizzare è qualcosa che mi è stato donato, dato, e che io semplicemente ho fatto il sacrificio di sviluppare”.
Che cos’è per lei il Lago di Montecolombo?
“E’ la mia casa. E’ il luogo: è la casa di Leo Amici, il luogo di Dio. La casa di Dio. E’ mio tra virgolette, di Leo Amici tra virgolette e di Dio, forse senza le virgolette. E’ un luogo che è stato concepito e concepito per gli altri: solamente per gli altri”.
Per tornare al teatro, qual è il complimento che più le ha fatto piacere?
“Non sono vanitoso, allora è difficile trovare un complimento che mi abbia fatto piacere, però mi sono stupito quando un critico d’arte vide le scene dei miei spettacoli e disse che erano molto simili ai miei quadri, che io animavo i miei quadri nel teatro, nel palcoscenico. Questo mi ha un po’ intrigato, mi ha fatto riflettere; sono andato a guardare i miei spettacoli con un altro occhio e ho pensato che è vero che ci sono le stesse sfumature, gli stessi colori attraverso le luci, attraverso le musiche”.
Qual è la critica che più l’ha ferita?
“E’ difficile perché non ne ho ricevuto tante, forse per bontà, perché magari vedono nei visi dei miei allievi, dei miei interpreti, la pulizia, la buona fede con cui lavoriamo. Al primo spettacolo, quello che più ricordo, ‘Sicuramente amici’, in cui una giornalista me lo definì il papocchio degli dei. In un primo momento mi offese tantissimo questo termine; poi pensai che se c’erano di mezzo gli dei c’era di mezzo Dio e lo potevo anche accettare”.
Per lei chi è il pubblico?
” Il pubblico rappresenta continuamente quel Dio in cui io credo”.
Quali sono le sue letture preferite?
“Io non ho studiato e non ho mai potuto leggere libri. Certo ci sono degli autori che mi hanno un po’ intrigato nella loro storia, a volte simile alla mia, a volte all’opposto. La mia vita è talmente piena, talmente ricca, che purtroppo non ho questo tempo”.
Sua moglie è lo storico delle partiture dei suoi spettacoli, qual è il filo che unisce Francesco, Chiara, Gabriele, Pio?
‘Il denominatore comune è l’innamoramento di Gesù. Francesco e Chiara sono due giovani, ma giovane è stato anche padre Pio, giovanissimo è stato san Gabriele dell’Addolorata che morì a 24 anni. Li accomuna la gioventù e proprio nella gioventù che si cerca la verità”.
Dei suoi spettacoli che cosa si vorrebbe che si dicesse?
“A me piace molto quando in qualche scena troppo forte, troppo toccante non applaudono. Riconosco che quel non applaudire, che magari può spaventare il ballerino, invece mi riempie, perché non hanno osato fare rumore, non osato esclamare, perché qualcosa è entrato dentro di loro”.
Dall’11 ottobre, fino al 6 gennaio, ogni sabato 19,30 e domenica ore 16 si interpreta “Greccio, notte di Natale 1223: il presepe vivente di san Francesco”.