LA CULTURA
– Se i libri che mettono a fuoco il porto di Rimini si possono contare su una mano, se ne aggiunge un altro che vuole rappresentare “il tentativo, non certo sistematico, ma almeno rappresentativo, di una certa lettura della storia marittima della città, delle sue funzioni del porto e della regolamentazione del suo accesso, delle vicende politiche, dei fattori economici, dei processi culturali nei quali Rimini rimane coinvolta fra Cinque e Settecento, epoca i cui si assiste ad importanti trasformazioni nella fruizione dell’Adriatico e soprattutto delle comunità costiere”.
Il libro si intitola “Rimini marinara: Istituzioni, società, tradizione navale. Secoli XIII-XVIII” (320 pagine di grande formato arricchite da 52 immagini). L’autore è Maria Lucia De Nicolò, cattolichina, professoressa all’Università di Bologna, tra i massimi esperti di marineria d’Italia. Edito dalla Banca di Credito Cooperativo di Gradara, è stato presentato in un assiepato Teatro degli Atti lo scorso 4 ottobre.
Nella seconda metà del Settecento, grazie alle nuove tecniche di pesca, passata dalla tecnica “a tartana” dalla cosiddetta “a coppia” e prontamente adottata a Rimini. Scrive la De Nicolò: “Per Rimini cresce la fama di centro peschereccio di prim’ordine: nei cantieri si pone mano alla costruzione di scafi più manovrieri, si perfezionano le attrezzature veliche con l’introduzione della nuova vela ‘a trabaccolo’ che finirà poi per dare il nome alla barca più importante delle marinerie tradizionali adriatiche fino all’avvento del motore”.
“Trasformazioni epocali – continua la De Nicolò – trovano insomma a Rimini un laboratorio di grande interesse e, soprattutto, molto ben documentabile”.
Testo che va a colmare una lacuna quello della De Nicolò e diventa con le sue 10 pagine bibliografiche punto di partenza per maggiori approfondimenti.