IL RICORDO
di Silvio Di Giovanni
– Veramente non eravamo proprio cugini io e Giorgio Di Giovanni, lo erano mio padre e il suo, ma lo erano doppiamente, nel senso di tutti e quattro i loro genitori.
Infatti mio nonno ed il nonno di Giorgio, che erano fratelli, (due “Tanfol”, così era il soprannome della numerosa famiglia colonica dei Di Giovanni, contadini di un ampio podere nella tenuta degli Spina, signori di Rimini), avevano sposato due sorelle che venivano da Tavullia, (che allora si chiamava la “Tomba”) ed erano della famiglia dei Gessi nel grande podere, a destra nella piana dopo il ponte sul Tavollo, a confine con questo torrente. Erano dunque cugini sia per parte dei padri che per parte delle madri.
Giorgio aveva fatto solo le scuole elementari. Di più non era nemmeno pensabile per una famiglia di contadini in quel dopoguerra. Lui però era dotato di una intelligenza e di uno spirito di osservazione che gli permetteva di avere un’ampia veduta e di intuire i problemi in anticipo.
Da ragazzino fu costretto ad emigrare, prima in Maremma, poi in Svizzera. Il lavoro non c’era a San Giovanni e nemmeno nei dintorni. Oltralpe imparò il mestiere e divenne un bravo capomastro muratore e quando in Italia si profilò la possibilità di lavorare, agli inizi degli anni ’60, ritornò a casa.
Nello sviluppo della vita economica sociale e politica del suo paesino fu attivo, disponibile e generosamente altruista. Partecipò alla vita pubblica con passione.
Leggeva molto e quando interveniva a livello politico e amministrativo (amministratorte dal ’70 al ’75) nei consessi ove era stato eletto o nominato, dimostrava una conoscenza, una capacità ed una lungimiranza fuori dal comune, spesso si esprimeva in dialetto, quando le lacune, attorno al lessico, glielo imponevano.
A San Giovanni ha lasciato una traccia indelebile quale anticipatore di idee e fautore di attività ed iniziative pubbliche nella sua pur breve partecipazione nella vita politica e nell’Amministrazione del suo Comune.
Vent’anni fa, al suo funerale civile, vi fu una enorme partecipazione di folla che dimostrò l’affetto dei suoi paesani e di tanti altri che lo conobbero e lo stimarono. L’orazione funebre nel cimitero che un compagno improvvisò fu di una toccante e vibrante intensità emotiva.
Un male incurabile, in meno di due anni, quella mattina dell’8 marzo del 1988, nel nosocomio di Cattolica, troncò la sua vita quando aveva da pochi mesi compiuto solo 51 anni.
Nel ventennale della tua morte, Giorgio, ti ricordo a quanti ebbero l’occasione di conoscere la tua persona, espressione di una fulgida figura di uomo modesto, bravo, buono, onesto e capace.