– L’ estate del 2008 passerà alla storia come la stagione dell’attesa della nascita del federalismo fiscale, che è la ragione principale che ha spinto Bossi a far parte della maggioranza di governo. Si tratta della rottura (nientemeno) del sistema tributario vigente che risale alla riforma del 1971.
Pur di ottenere questo rivoluzionario federalismo fiscale entro settembre, la Lega Nord si è rassegnata ad approvare obtorto collo i provvedimenti atti a salvare Berlusconi dai processi, e si oppone oggi a mettere la riforma berlusconiana della giustizia in calendario per settembre, come vorrebbe il Cavaliere. Così, Bossi ha ingoiato anche la menzogna sulla Francia, dove è ripreso il processo a Chirac dopo la fine del suo mandato: viene accuratamente nascosto dai berlusconiani che le Costituzioni di Grecia, Portogallo, Israele e Francia salvano dal processo i capi di stato, e non i primi ministri, che non godono di tale immunità in nessun paese democratico del mondo fuorché l’Italia di Berlusconi. Il primo ministro di Israele, oggi, è sotto processo!
Ma in che cosa consista concretamente il federalismo fiscale, nessuno sa ancora esattamente. Ciò che si sa, è che l’attuale governo non riduce le tasse: riduce gli stanziamenti per la polizia di Stato (che si sta agitando) e per la sanità, vedi il recente duro scontro tra il governatore della Lombardia, Formigoni, e il ministro dell’Economia Tremonti. Quest’ultimo, che fa il garante di Bossi dinanzi a Berlusconi e il garante di Berlusconi dinanzi a Bossi, promette che ci saranno meno tasse quando sarà realizzato il federalismo fiscale. Personalmente riteniamo invece che con il federalismo fiscale, con le nuove spese per le nuove strutture contabili ed amministrative, ci sarà un aumento della pressione fiscale. Sì, il governo entrerà nelle tasche degli italiani, checché ne dicano Giulio Tremonti ed Emilio Fede.
Ma il punto è un altro. Il punto è quanta parte del gettito fiscale le Regioni tratterrebbero per sé. A Bossi piace il progetto della Lombardia: l’80% dell’ Iva e il 15 % dell’Irpef devono restare alle Regioni. Ma questo non è tutto, perché poi le Regioni dovranno fissare le imposte che andranno alle Province e ai Comuni, che stanno già agitandosi, perché non vogliono dipendere dalle Regioni. Insomma: non si sa ancora quanto lo Stato dovrà rinunciare ad incassare.
Il pericolo è che il potere equilibratore dello Stato finisca per sparire! Già nel 1787 il grande federalista americano Alexander Hamilton affermava: «Il potere, senza il diritto di stabilire imposte, nelle società politiche è un puro nome».
Se gli resteranno solo le briciole, lo Stato italiano non sarebbe nemmeno uno Stato federale, bensì uno Stato confederale, dove cioè le Regioni, salite al rango di Stati regionali, si limiterebbero a regolare alcune materie di comune interesse italiano. E non si parla più delle macroregioni, tanto care al compianto professore Miglio, maestro di Bossi. Eppure Miglio aveva teorizzato un concetto non banale: che, cioè, l’esperimento federalista richiedeva assolutamente degli accorpamenti, perché non sarebbe stato possibile mantenendo i confini limitati delle attuali regioni.
Si dice: le regioni più povere non sarebbero abbandonate a se stesse, perché le regioni più ricche del nord accetterebbero di aiutare le regioni meridionali in nome della solidarietà nazionale. Ma chi ci crede? In quale misura le regioni ricche attuerebbero le erogazioni compensatorie, in mancanza di obblighi costituzionalmente sanciti e di un forte Stato centrale garante dell’ equità? L’ipotesi più attendibile è che esse cercherebbero accordi con i territori altrettanto prosperi a livello europeo, abbandonando il Mezzogiorno al suo destino.
E’ difficile pensare che i cittadini italiani eserciterebbero in senso solidaristico la loro pressione sui governi regionali. L’Italia è un paese in cui un cittadino su tre ha difficoltà a capire una pagina scritta (figuriamoci le pagine della Costituzione repubblicana!). Il sentimento di solidarietà è per lo più limitato alla famiglia e, nel migliore dei casi, alla categoria sociale di appartenenza. La cultura politica del cittadino medio è quella, manipolata ad uso dei potenti, fornita dalla televisione, dai telegiornali. Per questo i risultati dei sondaggi si risolvono preferibilmente a favore di chi ha in mano la televisione (e oggi anche il governo).
Sapendo che il federalismo fiscale, che comprende il nuovo Senato delle Regioni, richiede una legge costituzionale, ossia anche il voto dell’ opposizione, la Lega Nord è da tempo in contatto con Veltroni per concordare una soluzione comune a maggioranza e opposizione. Checché dica Berlusconi, con la sua minaccia di fare da sé. C’è (ancora?) una Costituzione che lo vieta. Sarà interessante vedere come andrà a finire.
di Alessandro Roveri
Libero docente dell’Università di Roma