– Ultime notizie sul pastificio Ghigi. E’ possibile la ripresa dell’attività. C’è la possibilità che per il pastificio Ghigi venga chiesto l’esercizio provvisorio e la Provincia spinge in questa direzione. È quanto comunicato dal vicepresidente della Provincia Maurizio Taormina in apertura di una seduta del Consiglio provinciale. Come noto, da un lato è stata avviata la procedura di amministrazione controllata e, in accordo con i sindacati, sono state poste in essere tutte le misure a tutela dei 71 lavoratori dell’azienda.
In particolare, è stata chiesta la cassa integrazione ed è notizia fresca che il Ministero del Lavoro ha autorizzato con decreto la stessa. Dall’altro, non ci si arrende alla cessazione dell’attività e si tenta di favorirne la ripresa, motivata per altro da una domanda ancora viva per i prodotti del pastificio e dall’interesse degli istituti di credito coinvolti nel progetto. Un piano industriale è in via di definizione, ma la novità è che i commissari liquidatori, valutati attentamente tutti i fattori economici e operativi, possano chiedere l’esercizio provvisorio, che significherebbe nei fatti una ripresa della produzione.
STORIA ECONOMICA
– Questa triplice eredità di Morciano e del territorio circostante – agricola, molitoria e mercantile – sarà in qualche modo raccolta dal pastificio Ghigi. La pasta secca era stata introdotta nel riminese molto per tempo: intorno al 1760 – ci informa Filippo Giangi – un fiorentino, tale Zenobio Tassi, aveva aperto con successo una “fabbrica delle paste, cioè bigoli, maccheroni, paste all’uso di Puglia”. Nel 1870 il morcianese Nicola Ghigi, fornaio e commerciante in generi alimentari, si propose di ampliare la sua attività aprendo presso il proprio forno di via Ronci un piccolo laboratorio per la fabbricazione della pasta secca: pasta della quale si faceva, al tempo, un uso ben maggiore di quanto oggi non si immagini: Il laboratorio, attrezzato con macchine piuttosto rudimentali, produceva una quantità di pasta sufficiente per soddisfare la domanda di Morciano e di una ridotta clientela esterna al paese. Nicola Ghigi morì nel 1894. L’attività fu proseguita dal figlio maggiore Stefano, che morì a sua volta nel 1911. A capo della modesta azienda si ritrovò Nicola, il primogenito che nel 1922, in disaccordo con i fratelli Emilio e Angelo a causa di un “carattere imprevedibile e litigioso”, fu liquidato da costoro con la somma per l’epoca ingentissima di 50.000 lire.
Sotto la guida di Angelo ed Emilio Ghigi, che acquistarono nuove macchine ed estesero il mercato in tutta la Romagna, il pastificio si trasformò progressivamente da azienda artigiana in industria. La produzione passò dagli iniziali 5 quintali di pasta al giorno prima a 20 e poi a 40 quintali. Nel 1933 fu iniziata la costruzione della nuova sede, che fu completata nel 1936 e dotata di moderni impianti. Alla fine del decennio fu installato, a fianco della fabbrica, il nuovo mulino a cilindri. Al principio degli anni Quaranta la produzione era salita a 80 quintali al giorno e sarebbe presto raddoppiata. La guerra, infatti, non solo non compromise, ma addirittura incentivò l’attività del pastificio, che era entrato a far parte dei fornitori dell’esercito. Anche il passaggio del fronte, che infierì sui paesi vicini, recò danni marginali a Morciano e minimi alla fabbrica.
Nell’immediato dopoguerra alle difficoltà di reperimento del grano – che rientrava, al pari della pasta, tra i generi razionati – si sommava una tecnologia primitiva e superata, dove le conoscenze empiriche e i procedimenti manuali avevano ancora un peso essenziale. La famiglia Ghigi e, soprattutto, Angelo ebbero il merito di puntare sulle tecnologie d’avanguardia, con l’obiettivo “di fare del pastificio di Morciano il più grande e il più moderno d’Italia”. Il risultato non fu semplicemente un formidabile incremento della produzione, ma un sensibile miglioramento della qualità. Bruno Ghigi ricorda, in proposito, che la pasta di un tempo – fatta con una miscela di semola di grano duro, farinetta di grano duro e farina di grano tenero, ed essiccata a bassa temperatura – era mediocre e passava facilmente di cottura.
Al primo ampliamento dello stabilimento, nel 1948, ne seguì un secondo nel 1953. Fu costruito un silos, della capacità di 50.000 quintali di grano (equivalenti al fabbisogno dell’azienda per almeno un paio di mesi); il mulino fu ingrandito e aggiornato tecnicamente; a fianco del pastificio venne costruito il mangimificio, che trasformava i sottoprodotti della lavorazione in cibo per animali.
La crescita dell’azienda fu impetuosa e ininterrotta fino all’inizio degli anni Sessanta, quando arrivò ad avere 330 dipendenti e a produrre giornalmente 220 quintali di pasta. Premiato dai consumatori per l’alta qualità della pasta prodotta, soprattutto quella all’uovo, e aiutato anche da alcune felici iniziative promozionali – dal marchio (oggi si direbbe il “logo”) dipinto sui camion ai calendari, alla partecipazione alle sagre gastronomiche, fino alla sponsorizzazione di una squadra ciclistica – il pastificio Ghigi era ormai diventato il terzo d’Italia, dopo Barilla e Buitoni.
Fu proprio il successo a innescare la crisi. Le accresciute responsabilità e insormontabili divergenze circa la ripartizione delle quote tra i cinque figli di Angelo e i tre di Emilio fecero esplodere il contrasto tra i fratelli Ghigi, che nel 1961 arrivarono alla rottura. Angelo uscì dalla società e nel 1964, anno della morte di Emilio, inaugurò un proprio stabilimento a Rimini. Il pastificio di Morciano, guidato ora da Giorgio Ghigi, figlio di Emilio, attraversò un lungo periodo di difficoltà, che coinvolse l’intera comunità morcianese, la cui economia dipendeva in larga misura dalle fortune dell’azienda. Indebolito finanziariamente e commercialmente, ed esposto alla concorrenza della più moderna e aggressiva impresa di Angelo Ghigi, il pastificio di Morciano rischiò la chiusura definitiva. Nel 1972 dovette intervenire la Gepi, la finanziaria di Stato delegata al salvataggio delle aziende in crisi, e nel 1980 il pastificio fu acquisito da una cooperativa forlivese del settore agroalimentare, la Consvagri. Anche il pastificio di Rimini sarà più in là venduto alla multinazionale Danone. Il marchio Ghigi sopravvivrà, ma senza più alcun legame con la famiglia fondatrice.
(Tratto da: Microstoria di un’industria alimentare, dal volume La cultura del cibo tra Romagna e Marche curato da Piero Meldini edito dalla Banca Popolare Valconca)