I SAPORI DELLA NOSTRA TRADIZIONE
di Stefano Piva pivastefano@gmail.com
– Il crudo avanza (qualche avvertenza).
Se la moda trova la sua massima espressione nell’abbigliamento, “costringendo” soprattutto i giovani (ma non solo) a vestirsi a volte in modo ridicolo (badate bene che ho usato un eufemismo, non vorrei infierire) anche la cucina non è da meno. L’ultima mania/moda è arrivata dall’oriente, ha invaso in breve tempo i menù dei ristoranti e contagiato anche le nostre tavole. Avrete capito che sto parlando del sushi e sashimi (varietà di pesce crudo, specialmente tonno e salmone,elaborato con o senza il supporto del riso).
In verità i crudi di pesce non sono nuovi sulle tavole degli italiani, si sono sempre consumati, specialmente nelle zone di mare e al sud Italia. I prodotti maggiormente usati erano principalmente alcune varietà di cefalopodi (calamari, seppioline e polipi) pesce azzurro, diversi tipi di molluschi bivalvi di cui la regina incontrastata in tutti i ristoranti di pesce è l’ostrica.
Salmonella e vibrioni vari (che non sono altre varietà ittiche) hanno spazzato via queste abitudini alimentari, o almeno il loro abuso. Devo riconoscere in ogni caso, che pur essendo io un estimatore della cucina tradizionale, non disdegno sapori diversi ed inconsueti, ed i crudi di pesce con marinature e salsine varie sono piacevoli, saporiti ed interessanti. I problemi nascono quando i prodotti sono lavorati da persone incompetenti e inesperte.
Esistono due tipi di problemi: Il primo, consiste in una cattiva conservazione, dovute ad incuria, le cui conseguenze sono, intossicazioni alimentari, gastroenteriti e affini. Questo problema si può verificare con qualsiasi tipo di alimento, compresa la carne, va detto comunque che i crudi (pesce carne e latte crudo) sono particolarmente sensibili.
Il secondo problema, più subdolo, ha la forma di un parassita, l’Anisakis, piccolo verme abitante di viscere ed interstizi muscolari, di alcuni pesci tra i più comuni, tra cui tonno, salmone, sardina, acciuga, merluzzo, nasello, sgombro e triglia. Questo parassita è presente (può sembrare impressionante) nei due terzi del pesce che circola sui mercati di tutto il mondo, compreso il nostro. Sembra che la sua patogenicità e la sua eventuale aggressività per l’uomo aumenti con l’aumentare delle dimensioni del pesce ospitante, quindi piccoli pesci quali sardine, triglie, piccoli merluzzi ecc…sono meno a rischio, essendo il parassita ancora in condizioni larvali, il pericolo aumenta nei pesci che superino i 18/20 cm.
Di colore bianco, lunghezza da uno a tre cm e diametro di poco superiore ad un capello. muore oltre i 65° e sotto i -20° per almeno 24/48 ore. Il pericolo è costituito dalla possibilità che dopo la pesca a causa di una eviscerazione tardiva o di una infestazione massiva, i parassiti possano migrare nelle carni del pesce.
Una circolare del ministero di sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia (il limone e l’aceto non hanno nessun effetto sul parassita) ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo. L’uomo è un ospite accidentale di questo parassita, che generalmente muore nel nostro apparato digerente senza poter completare il ciclo vitale. In condizioni particolari potrebbe dare problemi gastrointestinali, come dolori addominali, diarrea, nausea, vomito, fino (nei casi più gravi) alla perforazione dello stomaco, con conseguenze assai peggiori.
L’eventuale gravità dipende dalla quantità ingerita e dalla sensibilità personale, soggetti a rischio possono essere i bambini e le persone particolarmente deboli. La parassitosi acuta da anisakis può insorgere già dopo poche ore dall’ingestione di pesce crudo, fino ad un massimo di due tre giorni. I pericoli maggiori provengono dai ristoranti improvvisati e dal consumo casalingo.
Non vorrei fare del terrorismo alimentare, ma la possibilità di incorrere in questo parassita è concreta e dovrebbero essere specialmente i ristoratori a tenerne conto e a seguire scrupolosamente le indicazioni del ministero della sanità, ammesso che “qualcuno” senta il dovere di informarli.
Ripeto, il problema non esiste se il pesce prima di essere trasformato viene cotto oppure congelato e conservato a -20° per 24/48 ore.
Fin qui in modo acritico, ho riportato le informazioni che ho trovato navigando su internet, tra i tanti siti che affrontano l’argomento Anisakis. Ma a questo punto considerando il modo allarmistico usato, la delicatezza dell’argomento e le possibili ricadute sulla salute collettiva, sono d’obbligo alcune considerazioni.
Mi sembra impossibile che dal lontano 1992 il Ministero della Sanità (il cui ministro di allora era De Lorenzo) non senta l’obbligo morale di rinnovare le raccomandazioni (essendo la circolare tuttora in vigore) alle varie associazioni allora allertate (commercianti, artigiani, della pesca, dei consumatori ecc….) al fine di rinnovare l’allarme Anisakis, e relative precauzioni.
All’epoca nella circolare veniva fatto tassativo divieto di somministrare pesce crudo o in salamoia a livello di ristorazione pubblica (ristoranti,alberghi, bar ecc.) e collettiva (mense aziendali, scolastiche, caserme, ospedali ecc.) a meno che si tratti di pesce congelato o che abbia subito altri trattamenti idonei ad assicurare l’inattivazione o l’assenza dell’Anisakis.
Di quelle raccomandazioni, essendo il problema tuttora attuale, cosa ne rimane? Quanti sono i ristoratori o albergatori che conoscono la questione e sanno come affrontarla?
A queste ed ad altre domande che vengono spontanee, qualcuno (ministeri competenti e associazioni preposte) dovrebbe dare una risposta.