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Il sonno della ragione genera mostri (2)

Redazione di Redazione
11 Febbraio 2008
in L'opinione
Tempo di lettura : 3 minuti necessari
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– Tu non fai in tempo a compiere il dovere di far conoscere un Felix Dahn (“la Piazza”, gennaio 2008) ai lettori della “Piazza”, rendendoli così partecipi della finezza dello storico George L. Mosse, che ha scovato quel mediocre romanziere tedesco del secolo XIX quale tipico rappresentante della sottocultura nazionale-popolare preparatrice del nazismo; non fai in tempo, si diceva, che subito ti imbatti di nuovo nel nome di Dahn a conferma della suddetta interpretazione di Mosse. Ti senti allora debitore, nei confronti dei tuoi lettori, di un supplemento di informazione su quel nome, presumibilmente sconosciuto ai più.
Di qui l’esigenza di una seconda parte dell’ articolo Il sonno della ragione genera mostri. E’ accaduto infatti che, grazie a un’indicazione di Claudio Magris, il sottoscritto sia corso ad acquistare un interessantissimo libro del collega austriaco Martin Pollack, specialista di slavistica e storia e cultura dell’Europa orientale, e vi abbia ritrovato il Dahn. Il libro di Pollack è un vero capolavoro, uscito a Vienna nel 2004 e tradotto pochi mesi fa da Bollati Boringhieri. Titolo: Il morto nel bunker. Inchiesta su mio padre.
Pollack sapeva che suo padre naturale, l’austriaco Gerhard Bast, era stato ucciso da un rapinatore mentre, nell’aprile 1947, cercava di riattraversare il Brennero dalla Val Pusteria. In questa egli era fuggito un anno prima per sottrarsi all’arresto da parte delle autorità che lo cercavano per fargli scontare i crimini di guerra di cui si era macchiato quale Sturmbannführer delle SS. A differenza di altri criminali nazisti, che dal Brennero correvano a Roma per essere aiutati dal Vaticano a rifugiarsi nell’America latina, Bast aveva la moglie in Austria e voleva, intanto, raggiungerla. Sua moglie, madre di Martin, era stata sposata Pollack e, dopo la morte di Gerhard, risposò il Pollack patrigno di Martin.
Ma Martin si mise in testa di ripercorrere tutta la vita del suo vero padre, fin dagli anni giovanili della milizia nazionalsocialista clandestina (1930-1938) di quello, studente di giurisprudenza poi laureatosi ma mai esercitante la professione. Gerhard Bast non faceva eccezione, rispetto alla generalità degli studenti austriaci di lingua tedesca. Nelle Università gli studenti austriaci di lingua e cultura tedesche scimmiottavano i loro colleghi tedeschi: si riunivano nelle tipiche corporazioni nazionaliste dette Burschenschaften, osservavano la pratica rituale del duello (mensur) con la spada e relative cicatrici (schmisse). Per lo studente affiliato alle corporazioni nazionaliste l’antisemitismo era un elemento importante della propria fede. Gli ebrei venivano giudicati responsabili di ogni sventura. Ai membri delle Burschenschaften era proibito qualsiasi contatto con gli ebrei, costoro venivano considerati inetti e codardi, i compagni ebrei venivano ignorati oppure malmenati.
Come si vede, l’antisemitismo hitleriano troverà terreno fertile, in Austria. E dalla ricerca familiare di Martin Pollack è venuto fuori un formidabile libro di storia, uno spaccato di vita sociale e di sottocultura austriaca dei territori della Krajna asburgica, attorno a Graz, abitati anche dagli sloveni, e quindi caratterizzati dagli attriti nazionalistici e dall’imbarbarimento della mentalità pangermanista degli austriaci in quell’area in cui convivevano accanto agli sloveni (aggiungiamo noi: fu un altro grande scrittore austriaco, Grillparzer [1791-1872], a scrivere: «dall’ umanità, attraverso la nazionalità, alla bestialità»; speriamo che i sostenitori della nazionalità “padana” non vi ricadano oggi; e non facciano valere, contro lo sconfitto Prodi, le componenti xenofobiche della loro ideologia!).
Martin Pollack aveva tre anni, quando gli morì il padre, portatore delle classiche cicatrici studentesche, criminale di guerra, responsabile dell’uccisione di migliaia di ebrei, polacchi, slovacchi, zingari e russi comunisti. Grande merito di Pollack è stato quello di documentare tutti i crimini commessi dal padre, senza perdonargliene uno. In tal modo egli si è sottratto – fino alla dolorosa rottura finale – all’influenza della nazista nonna paterna, che non voleva che il nipote si dedicasse allo studio delle da lei razzisticamente detestate civiltà orientali.
Con il nome di Dahn abbiamo iniziato questo articolo, e con lo stesso nome, lo concludiamo. Giacché per educare il nipote al culto storico della superiorità della germanicità sulle altre nazionalità mitteleuropee, la nonna trova in casa, stampato in caratteri gotici, il romanzo di Felix Dahn Lotta per il dominio di Roma, uno dei grandi successi librari della Germania dell’800: quattro ponderosi volumi rilanciati a Berlino da Klemm nel 1930, e ne fa dono al nipote. Quando si dice l’acutezza di uno storico come Mosse!

di Alessandro Roveri
Già Professore di Storia contemporanea all’Università di Ferrara

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