Università come specchio del futuro. Nei campus indiani aleggia sempre un’aria di serenità, ben diversa dalle nervose corse a cui si assiste nei corridoi e nei laboratori italiani. L’università la vivono e non solo la frequentano. Al Cept (architettura) di Ahmedabad gli studenti rimangono nei laboratori anche sino le 4 del mattino per giocare a freccette, studiare
– Era il lontano 1961 quando Pierpaolo Pasolini ne “L’odore dell’India” raccontava di strane vicende a cui si poteva assistere solo in India, considerandolo un paese lontano, mistico, dimenticato dal nostro Dio; un paese in cui, dice Pasolini: “La gente che ha studiato sa che non ha speranza”.
Grazie alle sue parole, spesso male interpretate, e ad altri racconti di stampo occidentale l’India ha acquistato fascino e mistero, ma soprattutto tanti, e tanti, pregiudizi negativi che prima di partire alla sua rotta suscitano lo scetticismo e la paura nell’affrontare il viaggio.
All’uscita di un aeroporto indiano il primo impatto lo si avrà con del frastuono e un traffico bestiali: urla, clacson all’impazzata e cani randagi che annusano i bagagli in cui gli occidentali diffidenti nascondono beni alimentari dal “sapor familiare”. L’aeroporto però, dalle definizioni di Marc Augè, è un non luogo della contemporaneità, non è quindi il posto adatto per raccogliere impressioni.
Le varie città indiane si presenteranno tutte diverse tra loro a differenza di quelle italiane che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi con centri storici riconoscibili gli uni dagli altri ma con le periferie tutte uguali, salvo le poche eccezioni.
Una rinascita confermata dai numeri: i dati mostrano che l’India nell’arco dei prossimi 50 anni diventerà una superpotenza mondiale tanto quanto lo era al tempo dei Moghul (1500-1700). Si vedranno i microchip sostituire le spezie e il thè come i grattacieli delle multinazionali quello dei palazzi di imperatori o maharajah; ma quello che conta è che il 70% degli abitanti dell’India (circa 1.2 miliardi in totale) hanno meno di 35 anni? e la maggioranza parla correttemente inglese! Forse Pasolini si stava sbagliando?
Sull’ascesa indiana in economia mondiale (per chi fosse interessato: Federico Rampini, 2007. La Speranza Indiana, Milano, Mondadori ), ma si vuol scrivere di una terra, della sua gente e delle sue vicende che solo dopo esser state viste al suo interno e con i propri occhi possono essere oggetto di giudizio “occidentale”.
Passeggiando nelle sporche, affollate, rumorose e coloratissime strade di Delhi, o di qualunque altra città indiana, si ha la sensazione di essere in un altro mondo, di respirare un’aria nuova dal sapor antico ed i primi contatti con la gente locale confermeranno presto queste sensazioni.
Una società diversa, più aperta e disponibile, è quella che scrutano gli occhi di un occidentale, ovunque la gente sorride agli ospiti stranieri e curiosamente domandano informazioni sulla provenienza o sul motivo della visita. Desiderano farsi fotografare per poi rivedersi nella digitale. Si felicitano per una stretta di mano e non si congedano senza aver detto e ripetuto in maniera scandita il proprio nome. Si sente spesso dire “questa gente si accontenta di poco”, ma è proprio come valorizzano questo poco che deve fare riflettere.
Le azioni di vita quotidiana vengono regolate da tempi lenti e preziosi, frenesia e stress non fanno parte del loro vocabolario, come non esiste quel concetto di tempo tiranno che attanaglia le nostre giornate. E’ proprio questa capacità di sapersi prendere i giusti tempi la ricetta di quei candidi sorrisi da mostre fotografiche.
All’interno delle loro attività, ristoranti, uffici o negozi che siano la fretta non è contemplata, fatto ben riscontrabile all’interno delle loro università. Nei campus indiani aleggia sempre un’aria di serenità, ben diversa dalle nervose corse a cui si assiste nei corridoi e nei laboratori italiani. Una serenità che consente agli studenti di vivere, nel vero senso della parola, l’università e non solo di frequentarla. Al Cept (architettura) di Ahmedabad gli studenti rimangono nei laboratori anche sino le quattro di mattina a giocare a freccette, ascoltare musica, parlare davanti a una tazza di thè? e anche studiare.
Passano le loro domeniche all’interno del campus suonando gratuitamente nella sala prove, organizzano feste, montano e provano spettacoli di teatro, puliscono i laboratori? e alcuni studiano pure.
E’ sicuramente un modello universitario diverso dal nostro che andando oltre la stressante attività lezioni-esami dimostra comunque annualmente un prezioso raccolto.
La vita universitaria non è comunque un’isola felice all’interno del misero contesto urbano, anche se è vero che il 90% degli universitari indiani può contare su famiglie benestanti ed il 70% della popolazione indiana la si può considerare povera, ma rispecchia a pieno le sensazioni che si possono provare anche fuori dal recinto dall’università in qualsiasi luogo e a qualsiasi ora: serenità, cordialità e disponibilità sono la dote che offrono a tutti coloro pronti ad accettare questi beni preziosi.
Girando per le città, inoltre, si può notare senz’altro il fatto che quasi tutte le case, dall’alba al tramonto, si presentano con porte e finestre aperte in modo che lo spirito vitale penetri all’interno di esse accompagnato al concetto di utilizzo della strada come bene della comunità in cui tutta le gente si riversa a compiere le proprie attività fuori dalle soglie di casa, dagli artigiani alle casalinghe ai bambini giocosi. Insito nella popolazione è infatti un forte radicamento alla comunità, evidenziato dall’assenza di recinzioni e di ulteriori spazi privati al di là delle mura domestiche, una comunità il cui benessere viene prima di quello dell’individuo, dove le parole mio o tuo hanno davvero poco da dire; una comunità che prevede la convivenza tra religioni diverse ma contemporaneamente le caste sociali e i matrimoni combinati.
Sicuramente l’India mostra un modello di vita fatto di attività, tempi e pause, comunità e religioni impensabili per l’Ovest. Immagini di vita fatte di lavori, giochi, momenti di preghiera e momenti di riposo? per cui il tempo sembra essersi fermato tanti decenni fa. Sono invece attimi di vita moderna a cui la nostra mente fatica a giungervi e quindi preventivamente li va a catalogare sotto la brutta voce Terzo Mondo, dando così ragione a Nietzsche: “Gli invidiosi dal fiuto più sottile cercano di non conoscere troppo il rivale per sentirsi sempre migliori”.
Nell’era della globalizzazione e dell’apertura dei confini, infatti, le menti della gente sono ancora occluse da vecchie immagini stereotipate, narranti un’India in cui la gente muore sotto gli occhi dei passanti e le condizioni igieniche non consentono neanche la alimentazione minima a meno di gravi e spiacevoli malattie? quanto di più falso.
Al contrario, l’India e la sua gente sono una vera e propria meraviglia sopravvissuta a questo mondo in rovina che sta smarrendo sempre più i veri valori, su cui invece questo paese può aprire gli occhi e far riflettere per tornare a riabbracciarli con grande passione.
La patria di Shiva e Ganesh, di Nehru e del Mahatma Gandhi, di Ratan Tata e di Anand Sarabhai, del Taj Mahal e del Kama Sutra? mio caro Pasolini ha veramente tanto per cui sperare, ma soprattutto ha tanto da dire e da insegnare in questo pianeta che nonostante le apparenze è ancora un unico e grande mondo fatto di diversi popoli allo stesso uguali; basterebbe partire resettando il proprio hard disk impolverato da stressanti e spesso insulse abitudini occidentali per immergersi in questa splendida realtà.
Ringraziando tutti i compagni d’avventura.
di Marco Miscia
Riccionese, studente di architettura a Forlì