– Avevano promesso alle famiglie italiane di dare loro sicurezza, ma intanto questa maggiore sicurezza l’avranno coloro che si servono del telefono per preparare e commettere reati.
La seconda settimana del giugno 2008 resterà infatti nella storia della Repubblica come quella delle intercettazioni impedite. E’ cominciata con un solenne annuncio pubblico di Berlusconi, tra gli applausi frenetici dei giovani industriali a Santa Margherita Ligure: 5 anni di carcere per magistrati e giornalisti colpevoli di ordinare e diffondere intercettazioni non riguardanti la criminalità organizzata o il terrorismo.
Se fosse andato in porto l’intero progetto di Berlusconi, avrebbero sicuramente ottenuto la certezza di non essere intercettati e indagati: coloro che, usando il telefono, si scambiano informazioni e turpi fotografie per perpetrare il delitto di pedofilia; quei pubblici ufficiali che si accordano telefonicamente per estorcere denaro (concussione); i medici delle cliniche private che ordinano ed eseguono interventi chirurgici non imposti dalla necessità, allo scopo di incassare i rimborsi del servizio sanitario nazionale anche a costo di mandare all’altro mondo i pazienti; i delinquenti della criminalità, purché non organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita), che preparano le loro rapine; i politici che organizzano i loro sistemi per avere voti in cambio di favori illeciti; i finanzieri corrotti, che possono mettersi d’accordo con gli evasori fiscali; i pubblici amministratori che preparano i loro sistemi per intascare le tangenti dagli operatori economici; i colpevoli di insider trading (attività borsistica illegale dei furbetti del quartierino, consistente nel commercio di titoli fatto da chi è in possesso di informazioni privilegiate: ricordate i casi delle scalate bancarie del 2005?).
La televisione pubblica e privata, da buon tappetino, ha subito giustificato la stretta sulle intercettazioni, diffondendo alcune autentiche menzogne: che, cioè, le spese per intercettazioni graverebbero per il 33% sulle spese del bilancio della Giustizia (mentre le spese non sono state di oltre due miliardi, bensì di 224 milioni su 7 miliardi e 700 milioni!).
A metà settimana, mercoledì 11 giugno, abbiamo avuto quello che il “Corriere della Sera” ha definito «il giallo del decreto»: l’annuncio delle 15,30 di Palazzo Chigi che il Consiglio dei ministri avrebbe provveduto alla bisogna con un decreto legge, ossia con immediata entrata in vigore. Di fronte allo stop di Napolitano, alle 17,30 Berlusconi annuncia che si è trattato di un «mero errore materiale», di un «refuso», e che si sarebbe provveduto con un disegno di legge. Vera, la storia del refuso? Molti ne dubitano. Fatto sta che il giorno dopo è stato approvato il disegno di legge, che ha registrato una mezza marcia indietro di Berlusconi dinanzi alle riserve del presidente della Repubblica e perfino alle obiezioni di Bossi, scandalizzato anche lui dall’impostazione originaria del presidente del Consiglio (così è governata l’Italia).
Risultato: carcere fino a tre anni per il giornalista che pubblica atti di indagine o il loro contenuto prima del rinvio a giudizio formulato dal giudice delle indagini preliminari; carcere fino a 5 anni per il magistrato che divulga quelle carte; saranno vietate e punite le intercettazioni relative a reati puniti con meno di 10 anni di reclusione, con alcune eccezioni: ingiurie, minacce, usura, molestia e disturbo per mezzo del telefono. Ma le intercettazioni saranno ancora vietate in casi di notevole gravità: rapina, estorsione, bancarotta fraudolenta, associazione per delinquere, sfruttamento della prostituzione, furto in appartamento, spaccio di droga , insider trading e manipolazione del mercato (benché per questi due ultimi reati sia stato il Consiglio dell’Unione europea a raccomandare le intercettazioni). Inoltre si potrà intercettare al massimo per 3 mesi (a Milano, sulla clinica-macelleria Santa Rita, è stato necessario quasi un anno di intercettazioni!), e sarà vietata l’utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello per il quale sono state disposte (!).
Marco Travaglio, che se ne intende, ha ricordato che, se fossero state in vigore queste norme, non avremmo saputo nulla né delle telefonate di Calciopoli né di quelle di Fazio e dei furbetti del quartierino, e sarebbe ancora in attività la «premiata macelleria Santa Rita». E Di Pietro ha osservato che se queste disposizioni fossero state in vigore nel 1992, non ci sarebbe stata Tangentopoli, inaugurata dalle intercettazioni dell’ingegnere Mario Chiesa, trovato poi con la mazzetta in mano.
Ricordare tutto questo significa infischiarsi degli abusi che minacciano la privacy? Niente affatto: si possono stroncare gli abusi a danno di persone che nulla hanno a che fare con i reati oggetto delle intercettazioni, e ciò istituendo all’interno dei processi un sistema di appositi filtri di segretezza, ma senza tagliare le unghie ai magistrati inquirenti.
Dopo la mezza sconfitta sulle intercettazioni, il capo del governo, imputato a Milano di corruzione in atti giudiziari, si è preso subito la sua rivincita: ha scritto al presidente del Senato avvertendolo che il governo invierà al Parlamento un emendamento all’urgente decreto sulla sicurezza, emendamento (sconosciuto al presidente della Repubblica) che obbligherà immediatamente i magistrati a sospendere per un anno i processi come il suo (corruzione in atti giudiziari!), e a dedicarsi ai reati più gravi (per il bene della nazione). E questo perché il suo processo ha scritto sarebbe «l’ennesimo stupefacente tentativo» di un magistrato «di utilizzare la giustizia a fini mediatici e politici, supportato da un Tribunale supinamente adagiato sulla tesi accusatoria». Sono accuse gravissime: ci sarebbero dei magistrati colpevoli di agire non per cercare la verità, bensì per i loro fini «mediatici e politici», le solite «toghe rosse» (ma quante ce ne sono?).
Così, insieme alla più elementare logica giuridica, muore in Italia, benché garantita dalla Costituzione, l’indipendenza della magistratura, alla quale un governo ordina quel che deve fare e quel che non deve fare. Rimane solo un’ultima speranza: che il presidente della Repubblica, che già si dice «irritato», si rifiuti di sottoscrivere questo attentato alla Costituzione. Ma siamo messi davvero male.
di Alessandro Roveri
Libero docente
dell’Università di Roma