– Lamentava, il mio maestro di diritto costituzionale Piero Calamandrei, la scarsissima presenza in Italia del senso dello Stato, ossia del senso della cosa pubblica. E amava raccontare, il grande giurista fiorentino, la storia di quei due emigranti toscani verso l’America su una nave che, a causa delle procelle, rischiava l’affondamento. Uno dei due svegliò l’altro, che stava dormendo: «Beppe, Beppe, ha detto il comandante che se continua così la nave affonderà». «E che m’importa la risposta fiorentina : n’è miha mia».
Il senso dello Stato comincia dal basso: dal dovere di tenere pulito il gabinetto del treno. Non a caso i treni italiani sono i più insudiciati d’Europa. Diceva il famoso premier inglese Churchill che ogni popolo ha il governo che merita. Churchill fu un grande liberale, che non avrebbe mai tollerato nel suo paese nessuna limitazione della libertà. Temeva il pericolo comunista, ma per fronteggiarlo gli Inglesi non ricorsero ad una dittatura. A Churchill faceva piacere che tra i nemici del comunismo vi fosse l’Italia fascista. Mussolini ebbe per qualche tempo la sua simpatia, perché faceva il “lavoro sporco” contro il comunismo. Era naturale, per Churchill, che un popolo inferiore come l’ italiano, privo del senso dello Stato, fosse rappresentato da una dittatura. Non era degno della libertà. Ogni popolo ha il governo che merita.
Lo scarso senso dello Stato degli Italiani e dei loro governi viene da lontano, dalla nostra storia. Almeno dal Cinquecento, allorché Machiavelli affermava che «abbiamo noi Italiani con la Chiesa questo debito: essere diventati senza religione e cattivi». Per questo Piero Gobetti definì il fascismo come «l’autobiografia della nazione».
C’ è stato papa Ratti, nel Novecento, che ha incarnato in sé, al riguardo, dramma e pentimento: il dramma di un cattolicesimo per secoli nemico delle libertà politiche e quindi alleato della dittatura fascista con il Concordato del 1929; il pentimento di un pontefice, lo stesso Pio XI del Concordato, che negli ultimi mesi della sua vita prova ripugnanza per l’antisemitismo germanico e la sua imitazione mussoliniana mediante le leggi razziali del 1938, quindi prepara un’enciclica antifascista e un discorso di pubblica condanna dell’antisemitismo (discorso non potuto tenere per il sopravvenire della morte), due testi poi fatti sparire dal successore Pio XII. Se Pio XI fosse vissuto più a lungo, la storia dell’ Europa avrebbe assai probabilmente seguito un corso diverso.
Dunque la storia d’Italia. Una storia, come scrisse Carlo Rosselli, caratterizzata da un servaggio di secoli, dalla sottomissione a tutti i tiranni, da un cattolicesimo vissuto in terra di monopolio senza la salutare concorrenza protestante (quella che fu all’origine delle libertà inglesi), dal trionfo della corrente monarchica e diplomatica nel Risorgimento. Conclusione, disse Rosselli: una mentalità perpetuamente oscillante «tra l’abito servile e la rivolta anarchica».
Si spiega così anche l’assenza, nell’italiano medio, della cultura della legalità e dell’indignazione dinanzi alle malefatte dei potenti. Povero Mazzini, che scriveva nell’opera Dei doveri dell’ uomo: «Poco importa che voi possiate dirvi puri: quand’anche poteste, isolandovi, rimanere tali, se avete a due passi la corruzione e non cercate combatterla, tradite i vostri doveri»! In Italia se l’appartamento viene svaligiato e la magistratura abbaia perché ha scovato i ladri, l’indignazione pubblica viene indirizzata non già contro gli svaligiatori, ma contro il cane da guardia che ha scoperto il reato. E’ secondo me tenendo conto di queste considerazioni, che si spiega un fenomeno tenace e radicato come il berlusconismo.
Dopo il fascismo, trionfante corruttore della coscienza civile, non tutto l’antifascismo ha saputo remare contro corrente, in favore della riscossa del senso dello Stato e del conseguente primato della libertà. Voglio dire che è mancato l’apporto di coloro che, interpretando ottusamente la grande lezione di Marx, hanno tutto e sempre ridotto a lotta di classe, sola struttura della società, relegando Stato e cosa pubblica all’inferiore rango di marginali sovrastrutture: cose secondarie!
Se posso concludere queste amare considerazioni con un lumicino di speranza per le giovani generazioni, allora dirò che il progetto di Veltroni costituisce, secondo me, la sfida salutare di cui la storia d’Italia aveva bisogno.
di Alessandro Roveri
Già professore di Storia contemporanea all’Università di Ferrara