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Home Rubriche L'opinione

Politica, i benestanti contro gli esclusi?

Redazione di Redazione
12 Maggio 2008
in L'opinione
Tempo di lettura : 2 minuti necessari
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– Confesso di essermi sbagliato. Non pensavo, infatti, che così numerosi elettori della Sinistra Arcobaleno provassero tanto risentimento per Veltroni, a causa dell’estromissione dal Parlamento di tutti i loro candidati alle elezioni politiche, da restarsene a casa in occasione del ballottaggio romano, facendo così vincere Alemanno.
Che cosa pensano di fare, gli “arcobaleni”, nei cinque anni di governo Berlusconi? Rifondare di nuovo Rifondazione? Il loro egualitarismo è parte imprescindibile del patrimonio della sinistra. Ma purtroppo –come ho scritto per il prossimo numero del “Ponte”– il massimo di egualitarismo, ottenibile in un paese politicamente e moralmente primitivo come l’Italia, sono graduali e parziali riforme che riducano progressivamente le distanze fra i tre quarti di benestanti da una parte, e il quarto di esclusi e precari dall’altra: un processo lento e faticoso, fatto di cultura, di intelligenza ed anche di scaltra avvedutezza.
La classe operaia stessa non è più concepibile come una forza storica dotata di una inalienabile coscienza di sinistra. I modelli del consumismo berlusconiano hanno fatto breccia anche in lei, che d’altra parte, a differenza del ceto politico, vive a contatto quotidiano con la realtà della manodopera extracomunitaria e della concorrenza dell’immigrazione clandestina, e ne subisce tutto il danno. E viene letteralmente decimata dalla morte sui luoghi di lavoro, difesa ormai soltanto dal ruolo di supplenza della migliore magistratura, capace di irrogare pesanti condanne dei datori di lavoro inadempienti in materia di prevenzione delle morti bianche, e di garantire in sede civile cospicui risarcimenti alle famiglie delle vittime.
Per questo, e non per altro, Di Pietro ha ottenuto un rilevante successo elettorale. Checché ne dicano i socialisti boselliani, scomparsi anch’essi dalle Camere. Quei signori non hanno ancora capito che il grosso dell’elettorato ex socialista, con in testa Stefania Craxi, è passato da tempo dalla parte di Berlusconi. Non hanno capito che non Di Pietro (e tanto meno Veltroni), ma Craxi ha distrutto il vecchio Partito socialista italiano. E i craxiani sono per sempre tornati alla casa madre berlusconiana, quella che ha beneficiato del decreto salvafininvest del premier Craxi del 20 ottobre 1984 in opposizione alle sentenze di alcuni magistrati italiani, che volevano far rispettare la legge, ossia impedire alle reti berlusconiane di coprire l’intero territorio nazionale. Sono irrecuperabili, quei “socialisti” (con licenza parlando). “Garantisti”, sì, ma non per gli operai che muoiono sul posto di lavoro né per i cittadini colpiti dal carovita e dalla crescita mostruosa dei tassi dei mutui variabili, bensì per Craxi e – va da sé – per Berlusconi.
Tornando agli “arcobaleni” di cui sopra, si è visto che c’è anche qualcuno che pensa di ritirar fuori la falce e il martello, come se fossimo ancora a metà secolo XX, come se quel simbolo non fosse irreversibilmente naufragato con il fallimento dell’Unione Sovietica e il crollo del muro di Berlino. Falce e martello possono piacere soltanto ad Emilio Fede, che li sfrutta per agitare ancora lo spauracchio del comunismo. Ma non offrono nessuna speranza, per almeno cinquant’anni, a chi vuole battersi per giustizia e libertà.

di Alessandro Roveri
Libero docente dell’Università di Roma

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