IL PERSONAGGIO
– Raffaele Bersani è un bell’artista: preparato, garbato non meno che raffinato comunicatore. Il figlio è il cantautore Samuele e ascoltando la vita del babbo (senza dimenticare quella della madre, Gloria Bellini) si capisce meglio la carriera e l’atteggiamento del prestigioso cattolichino, che è un mix di talento, lavoro ed umiltà. Una rarità ai giorni nostri.
Settant’anni con disinvoltura, Raffaele ha portato con successo un frammento di Cattolica in uno dei templi del teatro italiano. Il 27 aprile si è esibito, a Roma, all'”Igramul”, sulle tavole della scuola teatrale Silvio d’Amico, la più importante d’Italia. Un successo emozionante.
Titolo “Florilegio”, sono delle letture recitate che spaziano dalla Sicilia al Veneto, passando per la Francia fino ad approdare a Cattolica. Declamazioni in dialetto, Bersani ha dato saggio di sé con “La lupa” di Giuseppe Verga (in inappuntabile dialetto trapanese), “A livella ” di Antonio De Curtis (in arte Totò) in napoletano. In “Orlando e Gaina”, testo di Giuliano Scabia, Bersani si è divertito con la voce narrante (italiano), il paladino Orlando (italiano francesizzato) e lo scudiero Gaina (in padovano). Ha continuato con un pezzo in cattolichino, “Smarita” di Vincenzo Cecchini. Ha proseguito, in italiano, con un racconto di Amy Lowell, “Il raccolto”. “La riunione”, monologo dialettale del santarcangiolese Nino Pedretti, ha chiuso la sua serata.
Spettacolo inno all’uomo, all’estro dei popoli, è nato casualmente lo scorso anno a Longiano, teatro Petrella. Raffaele Bersani si iscrive ad un corso di teatro tenuto da quella bella mente di Stefano Benni. Ci sono un centinaio di giovani allievi. A fine corso si esibiscono tutti, eccetto Raffaele. Salta su un ragazzo e dice: “Raffaele la vuole fare franca: lo vogliamo sentire”.
Pressato va in scena. Porta “Orlando e Gaina”. Bella tensione tra i presenti, l’applauso di Benni, con i giovani che lo invitano a Roma. Per lo spettacolo del 27 aprile scorso.
Musico-terapeuta, fino al ’97 insegnante di educazione musicale, comunicatore appassionato, piacevole, ha fatto amare la materia a migliaia di giovani. In 44 anni di insegnamento, dalle scuole materne alle superiori, sono passati circa 6.500 giovani. I suoi saggi finali sono degli autentici gioiellini dell’arte di comunicare attraverso il mistero delle sette note.
Uomo perbene e persona fortunata, Raffaele Bersani. Ultimo di sei fratelli, a 14 anni resta orfano di padre. Frequenta la scuola di avviamento commerciale a Cattolica. Grande talento per il disegno, il suo insegnante Italo Mengaroni di Fano (che i cattolichini di una certa età lo ricordano affettuosamente) lo segnala a Molaroni, uno tra i massimi ceramisti italiani (bottega ancora esistente, le opere sono sparse nei maggiori musei del mondo). Molaroni va a parlare con la madre, Letizia Filippini, e si dice disposto a farlo studiare nella scuola d’arte di Pesaro a patto che possa adottarlo. La donna risponde che lo ringrazia molto, ma nessun figlio è in vendita.
La soluzione ai problemi economici sono i fratelli della madre. Dai 14 fino a 20 anni, il giovane li passa presso la bottega di tre zii, tutti macellai: Cattolica, Rimini, infine Bellaria dallo zio Giannetto Filippini. Ed è a Bellaria che avviene l’incontro fatidico. Una sera viene a suonare la banda di San Mauro diretta da Michele Ferretti, un molisano di Monteroduni, che è anche insegnante del Liceo musicale Lettimi di Rimini. Il giovane Bersani si piazza vicino al flautista e mano mano gira le pagine della musica. Il direttore lo guarda e gli sorride. Alla fine del Nabucco, si avvicina e gli dice: “Sai leggere la musica?”. La risposta: “Sì, ho frequentato la scuola della banda di Cattolica”. Allora era diretta da Alfredo Rizzi, un signore di Sant’Agata Feltria.
Bersani ricorda così: “Mi chiese di frequentare il Lettimi. Vado dalla zia Maria Verni le racconto tutto. Mi risponde che se non faccio i fucili, farò le pistole. Per lei il macellaio ed il musicista più o meno sono la stessa cosa”.
Si iscrive al Lettimi. Si diploma in flauto al conservatorio di Pesaro. A 23 anni inizia ad insegnare alle scuole medie di Cattolica. Fa il giro di molti istituti del Riminese prima del ruolo fisso alle medie cattolichine. Nel frattempo frequenta una serie di corsi di perfezionamento: 4 anni di musico-terapia ad Assisi, musicologia a Fermo.
L’amore per il teatro l’ha sempre avuto. Da adolescente, a Bellaria, fa parte di un gruppo. Dal ’97, con la pensione, è avvenuta la riscoperta, sempre in stile Bersani: la professionalità e l’applicazione. Ha fatto una serie di corsi con registi di sostanza: Thomas Otto Zinzi, Roberto Caminiti, Roberto Citran. E partecipato ad alcuni film con piccole parti; eccetto uno, il film documentario sulla vita di don Baronio, dove ha ricoperto il ruolo da protagonista. E’ un nonno che narra al nipotino che fu raccolto ed accudito bambino dal prete.
Da molti anni, Raffaele Bersani, delizia i cattolichini con i suoi spettacoli. L’ultimo si è tenuto il 27 aprile del 2007, allo Snaporaz: “La parola è donna”. Sempre con la filosofia Bersani: non annoiare intrecciato alla forza del messaggio. In fondo, “a tutto quel che accade l’uomo una spiegazione non riesce a dare”. Ma in questo c’è qualcosa di meraviglioso.
A chi gli chiede che cos’è la musica risponde: “Credo che sia una necessità per tutti; non se ne può fare a meno. Ma ognuno la sceglie a proprio piacimento: classica, jazz, leggera, canzonette. La musica fa bene; è terapia. Ho dei grossi dubbi, ma qualche volta ingentilisce l’animo. Più spesso emoziona”.