– Chi, come il sottoscritto, ha vissuto tutta la sua vita nella scuola pubblica e nell’Università pubblica, non può tacere dinanzi all’ampia mobilitazione, in atto oggi in Italia, di centinaia di migliaia tra i migliori studenti, e dei più preparati docenti, e dei presidi di Facoltà e Rettori più coscienti dei loro doveri accademici. Questa mobilitazione ha provocato una reazione del presidente del Consiglio che non è quella di uno statista (a fare uno statista non bastano gli abbracci con Bush, l’uomo che ha rovinato l’economia americana con le folli spese della guerra in Iraq), ma, piuttosto, come direbbero i francesi, quella di un parvenu della politica, che scambia per un problema di ordine pubblico quella che è una grande questione sociale, e si è schierato contro l’Europa moderna anglo-franco-tedesca e a fianco della Lituania e simili nel contestare gli impegni contro le emissioni di anidride carbonica, proprio mentre la Sardegna subisce una vendetta della natura mai vista prima.
No, non è un nuovo ’68. Allora si trattò di un fenomeno mondiale, legato anche alle fabbriche e all’imperialismo statunitense operante nel Vietnam, mentre oggi il fenomeno è tutto italiano e scolastico-universitario. Allora gli studenti dichiararono guerra ai baroni e in genere ai professori dell’Università, mentre oggi accanto agli studenti scendono in campo professori, presidi di Facoltà e Rettori.
Dice giustamente il presidente della Repubblica (quello, sì, uno statista) che le parti dovrebbero sedersi attorno a un tavolo e discutere le rispettive ragioni. La ministra Gelmini non ha potuto fare a meno di ascoltarlo, ed ora organizzerà incontri con le rappresentanze studentesche. Perché non farlo prima? Discuterà dopo il varo parlamentare dei decreti?
C’è un aspetto dei cortei studenteschi e delle occupazioni degli atenei, che è grandemente consolante: la parola d’ordine della difesa dell’istruzione di Stato contro i progetti governativi di privatizzazione (che si estendono anche alla sanità pubblica) e di smantellamento.
Il fatto è che la scuola di Stato soffre di decenni di subdolo abbandono da parte dei governi, interessati ad avvantaggiare la scuola privata clericale. Quella che gli studenti impartiscono è una grande lezione di democrazia. Essi sanno che la sola scuola statale è quella che garantisce il libero confronto delle dottrine e delle culture, il cosiddetto pluralismo; mentre nella scuola privata clericale ha diritto di cittadinanza una sola dottrina, una sola cultura: non vi sono ammessi gli insegnamenti in contrasto con la Verità professata dai suoi dirigenti.
In molti casi la scuola privata è semplicemente un diplomificio. Ho visto personalmente sparire dalle classi liceali ferraresi i somari, bocciati regolarmente. Dopo qualche anno li ritrovavi iscritti all’Università, e venivi a sapere che avevano trovato in Veneto degli istituti privati che, non si sa come, avevano procurato loro la continuazione degli studi e il diploma di maturità.
Nella sua conferenza stampa il presidente del Consiglio, a proposito delle occupazioni di varie Facoltà in corso, aveva dichiarato di voler convocare il ministro dell’Intermo Maroni, con queste precise parole, riferite da tutti i quotidiani: «Convocherò il ministro dell’ Interno. Gli darò istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine affinché queste cose non succedano più». Istruzioni addirittura «dettagliate». Pare che a Maroni non sia molto piaciuto questo scavalcamento, che farebbe di lui un semplice lacché agli ordini del capo.
E’ poi accaduto che dalla Cina il cavaliere che ci governa abbia affermato di non avere mai pensato ad un intervento della polizia. La solita marcia indietro, e una grande confusione. La polizia non fa parte delle forze dell’ordine? Per «forze dell’ordine» dobbiamo intendere la croce rossa e i pompieri? Ma poi: non sa, il cavaliere che ci governa, che le forze dell’ordine non possono varcare la soglia delle Università se non su invito esplicito dei Rettori? Madonna in che mani siamo.
Il cavaliere che ci governa ignora anche un altro dato di fatto: nelle Facoltà occupate possono fare tranquillamente lezione i professori che lo desiderano, e vengono svolti corsi autogestiti e seminari, talvolta anche all’aperto. I professori che non fanno lezione agiscono così perché sono d’accordo con gli studenti, e vedono minacciati dal governo le prospettive della ricerca scientifica, le risorse e l’avvenire dell’Università. Altro che violenza e violazione della legge! Non siamo nel ’68. Gli universitari non chiedono il 18 politico, il 18 garantito, al quale anch’io allora, qui a Roma, mi opposi nella Facoltà di Magistero, ricevendone spintoni e minacce. Al contrario: si preoccupano del loro avvenire, che non vogliono vedere mortificato nelle fondazioni private che dovrebbero prendere il posto delle Università statali. Solidarizzano con i genitori dei bambini di quella che era la migliore scuola elementare d’Europa, costretti a tornare al maestro unico. E si oppongono con sdegno alla proposta leghista di classi separate, differenziate, per gli scolari figli di immigrati, come se non fosse nel contatto quotidiano con i coetanei italiani che si verifica l’apprendimento più solido della nostra lingua! E c’è il pericolo che da adulti, quegli scolari oggi discriminati, ci ripaghino con il loro risentimento e il loro odio.
Che occorra una radicale riforma dell’Università è fuor di dubbio. Ci sono Rettori che hanno potuto tranquillamente riempire i loro atenei di parenti e affini; i concorsi sono tutti in mano alle oligarchie locali, che sbarrano la strada ai migliori; il sistema europeo dei corsi triennali ha moltiplicato a dismisura le discipline e chiamato dei veri ignoranti ad insegnarle. Ma allora si faccia una grande inchiesta parlamentare e si ascoltino tutte le voci, anziché procedere per decreti e voti di fiducia. La questione assomiglia molto a quella della riforma del sistema giudiziario. Ma che cosa sperare da governanti che depenalizzano il reato di falso in bilancio, e si fabbricano le leggi “ad personam” per evitare i processi ai loro capi?
Non era mai accaduto, in Italia, che un unico, grandioso movimento di protesta vedesse uniti studenti, docenti e responsabili delle Università. Un’ultima cosa non ha capito Berlusconi: che il movimento non nasce ispirato «dalla sinistra e dai centri sociali», come egli ha affermato: tutti vedono che oggi la sinistra è tanto mal ridotta da non poter suscitare nessun movimento permanente di massa. Il movimento di oggi è spontaneo ed apartitico, ed è formato da giovani che rifiutano il modello delle veline e dei grandi fratelli introdotto in Italia proprio dalle reti di Berlusconi e malamente imitato dalla televisione “pubblica” (con licenza parlando). Avete tentato di rimbecillirli, vien voglia di dire; ma non ci siete riusciti.
Mentre scrivo, mi giunge la notizia dell’intervento compiuto oggi a Roma dalla polizia per vietare al corteo di decine di migliaia di studenti di svoltare da Corso Vittorio Emanuele in Corso del Rinascimento per andare a protestare dinanzi al Senato. Come se volessero invadere Palazzo Madama! Questa è una assai brutta strada. Si sta creando una situazione nella quale davvero il pescecane dell’estremismo anarcoide potrebbe trovare l’acqua di cui ha bisogno per nuotare e realizzare le sue violente provocazioni. Con conseguenze drammatiche. Il sonno della ragione genera mostri.
di Alessandro Roveri
Libero docente dell’Università di Roma