IL RICORDO
di Antonio Semprini*
– E’ un compito ingrato quello di ricordare una persona scomparsa. Quando poi lo scomparso è Vincenzo Meluzzi, anzi, il compagno Vincenzo Meluzzi (perché se potesse credo che così amerebbe farsi definire), la cosa è ancora più complicata. E lo è perché nella mente scorre il film di una esistenza che è stata certamente la sua, ma anche la nostra: di amici, compagni, lavoratori, cittadini di Misano e non solo.
Vincenzo avrebbe potuto essere una delle tante meteore che passano e lasciano memoria di sé nella ristretta cerchia di amici e compagni con i quali ha vissuto più a contatto. Ha lasciato, invece, una traccia indelebile.
Arriva a Misano da Verucchio, suo comune d’origine a metà degli anni ’60. Arriva come uno dei tanti “quadri” sindacali che dal “centro” (Rimini) si mandano a reggere la segreteria della Camera del Lavoro di un piccolo Comune, dove ancora non è chiaro quale sia la vocazione economica prevalente tra l’agricoltura, che molti continuano ad abbandonare, ed il turismo che sta facendo i primi decisivi passi per la sua affermazione. Ha alle spalle una legislatura come consigliere comunale di minoranza. A Misano, com’era abitudine di quei tempi, il Segretario della Camera del Lavoro viene candidato dal PCI alle comunali del ’64 e rimane in Consiglio fino al ’70. La fine degli anni ’60 segna l’inizio di una nuova stagione sindacale. Dopo l’autunno caldo del’69 l’unità sindacale CGIL-CISL-UIL diventa un fatto compiuto. A Misano uno dei crucci più grossi per il Segretario il “contratto” dei lavoratori dell'”albergo e mensa” (gli stagionali del turismo). E’ il periodo nel quale, in assenza di un contratto nazionale del settore, si sperimentano i “contratti aziendali”. A Meluzzi non manca l’inventiva e, tanto meno, la determinazione e la capacità di utilizzare le opportunità che gli si presentano.
Esisteva allora a Misano una specie di “nave scuola”. Era l’hotel Ghirlandina (attuale Club Hotel) costruito e gestito dalla Camera del Lavoro di Modena. Lì si sperimentavano i “contratti aziendali” prima di andarli a proporre agli altri operatori privati e lì si tennero, nella prima metà degli anni ’70, i corsi ECAP-CGIL, destinati ai lavoratori stagionali del settore alberghiero.
Poi l’esperienza misanese di Meluzzi finisce e viene chiamato a Morciano alla Camera del Lavoro della Valconca. La chiamata non è un fatto di ordinaria rotazione di quadri sindacali. A Morciano c’è da gestire la crisi della Ghigi, l’intervento delle partecipazioni statali, i primi licenziamenti e le lotte, aspre, che ne seguirono.
Tornato a Misano e venuta a mancare l’incompatibilità che gli derivava dall’essere funzionario sindacale, nelle elezioni comunali dell’85 viene nuovamente eletto consigliere nelle liste del Pci. Ma non rimarrà molto in Consiglio. Ha altro da fare e questo altro è il Centro Sociale. Una creatura sua, per ottenere la quale ha lavorato ai fianchi sia l’allora Sindaco Morotti che gli amministratori della Fondazione Del Bianco.
In questa struttura, che nasce quasi in contemporanea con gli orti, Meluzzi realizza un sogno: con gli orti, dare ai pensionati una forma di distacco dolce dal lavoro unito ai risparmi determinati dall’autoproduzione; con il centro sociale, molto dedito inizialmente al “mangiar sano” (con le erbe) ed alla prevenzione sanitaria (con le conferenze dei medici del servizio sanitario), togliere l’anziano dall’isolamento e dalla solitudine con la possibilità di una vita sociale fatta anche di impegno attivo.
Ma c’è di più: così come era inflessibile nel pretendere il rispetto dei diritti sindacali e politici del lavoratore e del pensionato, altrettanto lo era nella determinazione a non sprecare i soldi pubblici. Se ancora oggi, nel suo Statuto, il Centro Sociale viene indicato come “autogestito”, non è una casualità ma una precisa richiesta di Vincenzo Merluzzi. Era già fermamente convinto di ciò che poi si è avverato: il centro può esistere e funzionare bene senza costi per la comunità.
Mi auguro solo di essere riuscito a dare la caratura dell’uomo: innamorato della politica e del suo lavoro, in perenne difesa dei lavoratori e dei più deboli, non solo per il salario ma anche per l’affermazione dei loro diritti umani e civili.
Così era il compagno Vincenzo Merluzzi: un idealista dotato di concretezza, bonario ma anche cocciuto. Tante volte ci ha fatto arrabbiare, abbiamo tentato di resistergli, ma spesso e volentieri ci ha indotti a scendere a patti. Gliene siamo grati, perché la storia, il più delle volte, gli ha dato ragione.
L’ultima cosa voglio dirla alla compagna di tutta la sua vita: cara Teresa, forse, nel vivo delle battaglie, non ce ne rendevamo conto, ma anche noi, a modo nostro, gli abbiamo voluto bene.
*Sindaco dal ’70 all’82