Anche i grandi uomini, come De Gasperi non sono immuni da scelte e da prese di posizioni, non proprio edificanti e che, anche se possono creare un vulnus nella pretesa perfetta e specchiata descrizione del personaggio, vanno però riportate e detteBuonaiuti. Questo povero prete, grande intellettuale, dovette subire le più spregevoli “carognate”, passi il termine, da uomini come papa Pio X, Pio XI e Poi XII.
De Gasperi non seppe, e/o non volle sottrarsi alla richiesta d’Oltretevere? L’INTERVENTO
di Silvio di Giovanni
– Ho letto l’articolo a pagina 27 della “Piazza” di agosto, dal titolo “Italiani, una storia da De Gasperi fino a Palazzo Grazioli”. Concordo con la evidente ed abissale differenza di cultura morale e politica che corre tra quei tempi ed oggi e che l’articolista tende ad evidenziare e così pure concordo con le considerazioni svolte nel prosieguo.
Vorrei però precisare che anche i grandi uomini di tutti i tempi, come De Gasperi ad esempio, non sono immuni da scelte e da prese di posizioni, non proprio edificanti e che, anche se possono creare un vulnus nella pretesa perfetta e specchiata descrizione del personaggio, vanno però comunque riportate e dette, perché le cose vere, anche se possono far male, non vanno taciute.
Di De Gasperi si può certamente dire che è stato uno statista che, assieme ad altri, ha il merito di aver ricostruito il nostro stato democratico nel dopoguerra. Si può dire che ha un indubbio merito di certe scelte, anche se alcune sono state politicamente discutibili come, ad esempio, quella dell’accettazione dell’imposizione d’Oltreatlantico, tra la fine del 1946 e l’inizio del ’47, in occasione del suo viaggio in America, che, per avere dagli Usa quei 100 milioni di dollari in prestito e quei 50 a titolo di rimborso spese militari degli americani stanziati in Italia, dovrà promettere di rompere l’alleanza tripartita di governo che era il suggello, frutto della Resistenza. Questa sua accettazione, discutibile sul piano morale, la metterà in pratica nella primavera del 1947. Infatti, il 13 maggio, improvvisamente si dimise e fece cadere il governo di coalizione e, respingendo tutte le proposte tripartite, il 3 giugno presentò alla Costituente il suo IV gabinetto, escludendo socialisti e comunisti, con 11 democristiani e 5 tecnici.
Leggiamo ad esempio che cosa scrive l’insospettabile Andreotti su De Gasperi: “… Truman gli fece sapere che aiutare gli amici sarebbe stato un impegno d’onore per l’America…”).
Ma leggiamo anche la dolorosa preoccupazione che in quei giorni esprime, sul primo numero di Cronache Sociali, (30 maggio 1947), Giuseppe Dossetti (Dc, ma certamente di altra pasta): “Alla fine posso dire che il significato storico del tripartitismo non era tanto la partecipazione al potere dei partiti marxisti, pretesa da questi per desiderio di influsso politico ed accettata dalla Democrazia Cristiana per timore di peggio; quanto piuttosto era (o avrebbe dovuto essere) un senso superiore di solidarietà popolare e di coincidenza pratica di sforzi concreti tra i partiti del popolo per avviare i primi passi di quelle riforme strutturali, capaci di dare un contenuto integrale alla nostra democrazia. Questo era ancora ammesso alla fine dello scorso febbraio. Da allora ad oggi, che cosa è avvenuto?”
Che cosa fosse purtroppo avvenuto lo abbiamo saputo poco dopo di allora, lo sapeva già Dossetti in quel fine maggio del 1947 e le sue parole sono intrise e permeate di un sofferente intuito che farà maturare una latente evoluzione facendolo distaccare, disgustato, dalla Dc e dal suo “leader” tre anni dopo, quando il 31 ottobre 1950 cesserà anche la pubblicazione di Cronache Sociali.
Non meno pesante è il giudizio di Giorgio La Pira che, dopo l’eccidio di Modena, gennaio 1950, si domanda dove sia finita “l’attesa della povera gente”, dove sia finita “la lotta organica contro la disoccupazione e la miseria” e di lì vedemmo la cosidetta “diaspora dei professorini” , così come definita l’esperienza di quei giovani Dc che mal digerivano la vittoria di quel “degasperismo” nella sua svolta involutiva e restauratrice che tradiva gli impegni postbellici per una democrazia condivisa figlia della Resistenza.
Ciò che invece non lascia via di scampo al leader diccì è la sua peregrina ubbidienza alla gerarchia vaticana, quando gli fu evidentemente chiesto di praticare la più grande cattiveria che un potente possa fare ad un uomo indifeso, disoccupato, senza lavoro ed affamato da mesi, per giunta.
L’uomo fu don Ernesto Buonaiuti. Questo povero prete, grande intellettuale, dovette subire le più spregevoli “carognate”, passi il termine, da uomini come papa Pio X, Pio XI e Poi XII.
De Gasperi non seppe, e/o non volle sottrarsi alla richiesta d’Oltretevere? Di fatto impedì che a Buonaiuti (uno dei 12 docenti, su oltre 1.200, che avevano rifiutato nel 1931 di giurare fedeltà al regime fascista), gli fosse ridata la cattedra (così come fu restituita agli altri 11 professori), dopo il giugno 1944 ed una paga per campare.
Su richiesta di Togliatti, De Gasperi gli disse di essere disposto a riaprire la crisi ministeriale pur di non permettere che Buonaiuti tornasse ad insegnare. C’è di più. Quando ancora nel 1945 si formavano le coalizioni tripartite, Togliatti propose il nome dell’intellettuale Ambrogio Donini (Pci), come vice ministro a De Gasperi, questi rifiutò in maniera determinata perché ex allievo di Buonaiuti.
Che De Gasperi ricevesse allo scopo le pressioni dal Vaticano non è da stupirsi. Avrà mai avuto la cosciente opportunità di ammetterlo? Di lasciarlo scritto in seguito? Di confidarlo, nei dieci anni che è sopravvissuto a quel dopoguerra? E non è comunque per lui una scusante, la manifesta codardia (così come definita da don Ernesto) dell’allora ministro Guido De Ruggero e né l’incapacità di decidere secondo il “diritto”, dell’altro ministro Vincenzo Arangio-Ruiz, che può deporre a sua discolpa.
Il Vaticano, in quegli anni, volle proditoriamente svolgere fino in fondo l’opera di persecuzione su quell’uomo di chiesa che aveva una mente più aperta e sapeva vedere avanti nel tempo. Spiace che Togliatti non abbia fatto obiezioni, anche se forse fu più scusabile, data la particolarità del travagliato momento politico e la necessità di mantenere la coalizione ad ogni costo.
Spiace che non abbia fatto obiezioni nemmeno il filosofo Benedetto Croce che si è limitato a dire: “Abbiamo penato tanto per metterci d’accordo con i democristiani che non potevamo fare una guerra di religione per Buonaiuti”.
Addolora inoltre una colpevole omissione di un altro grande uomo, fin dal 1925 e ripetuta poi circa 35 anni dopo (che fu compagno di banco di Buonaiuti quando avevano entrambi vent’anni), divenuto in seguito molto importante, ma influente anche allora e che avrebbe potuto intervenire in suo aiuto ma non lo fece né allora, né dopo alla memoria. Si tratta di Giovanni XXIII,
La Chiesa di Roma di quel tempo, a partire dal 1926, con la scomunica Vitando, fino al papato di Eugenio Pacelli, trattò Buonaiuti in maniera veramente belluina, impedendo anche che qualcuno lo avvicinasse (tanto conteneva quel tipo di scomunica). Il 20 aprile 1946 morirà, ammalato e solo, nella miseria, ma conservando la dignità morale degli uomini migliori, che gli consentirà di respingere le pretese ricattatorie del Vaticano. Quei ricatti che, con subdola parvenza rappacificatoria, alcuni uomini di chiesa sanno sovente praticare nella posizione del più forte, del potente, verso il misero indifeso morente.
P.S. Prego leggere allo scopo le pubblicazioni di uomini di cultura quali: Arturo Carlo Jemolo, Giordano Bruno Guerri, Ambrogio Donini ed altri ed inoltre l’enorme produzione dello stesso Ernesto Buonaiuti.