Lo scenario che stiamo vivendo è apocalittico. Si dice che la finanza dovrà tornare ad essere pulita, abbandonando le formule matematiche che hanno ingenerato la falsa illusione di guadagni inarrestabili ed a rischio zero. E l’economia dovrebbe tornare a fare impresa, tornando alla sana logica mercantile di produrre plusvalore mediante lo scambio di beni e servizi, senza “drogarsi” ricorrendo alle alchimie finanziarie.
Tutto vero. Viene però da chiedersi se il futuro non ci richiederà un cambiamento di mentalità e di cultura ben più radicale.
Ricordo un amico imprenditore che mi riferiva di essere costretto ad aumentare ogni anno del 3-4% i volumi della propria impresa per non entrare in crisi: la sua azienda è cresciuta ogni anno da oltre vent’anni, senza peraltro conquistare nuovi mercati, ma invadendo la nostra società di prodotti sempre nuovi in sostituzione dei precedenti già immessi sul mercato, e mantenendo così alto il volume d’affari necessario per rimanere competitivo.
In altri termini, il modello economico ha potuto prosperare solo grazie alla invenzione continua di bisogni effimeri, così repentini nel loro sorgere e nel loro soddisfacimento tramite i beni di mercato, da rendere il consumatore sempre insoddisfatto ed alla ricerca di nuovi “acquisti”. Ogni giorno facciamo esperienza concreta di questa dinamica. L’induzione psicologica al consumo è evidente – agevolata dalle tecniche del credito per cui, chessò, comperi oggi e paghi tra due anni a tasso zero – : i bisogni di ieri vengono sminuiti e svalutati, gli oggetti che li hanno soddisfatti vengono proposti come già obsoleti, l’insoddisfazione che si determina nel consumatore crea uno spazio mentale che sarà riempito dalle nuove offerte del mercato.
E’ l’atteggiamento dinamico che Zygmunt Bauman ha definito come “il rimanere in movimento del consumatore” – in un’economia in cui l’uomo è asservito, non servito in una logica che ci farà prigionieri fino a quando non diventeremo – sempre secondo il grande sociologo – consumatori difettosi, cioè individui che si accontentano di avere un insieme finito, e non infinito, di bisogni.
E’ sorprendente notare come economisti e studiosi attenti della nostra società parlino sempre più spesso della necessità di acquisire la consapevolezza del proprio desiderio, inteso come complesso delle relazioni per cui vale la pena vivere, in contrapposizione ai tanti bisogni indotti.
Ma è ragionevole pensare che i consumi possano aumentare infinitamente? Quale nuovo modello di economia vogliamo far emergere dalla crisi di questi mesi? E’ possibile pensare un modello alternativo, che coniughi economia e sostenibilità, sobrietà nei consumi e sviluppo economico?
E’ un fatto che il modello economico che vediamo soccombere ha portato con sé un maggior individualismo ed una certa involuzione etica: un appiattimento dell’orizzonte sul presente a scapito del futuro, dell’effimero sul durevole, del puro profitto sullo scambio equo; tornare ad una giusta misura, nei consumi e nel fare impresa, riposizionando al centro del discorso economico la categoria del “bene comune”, rappresenta forse un buon punto per ripartire.
di Astorre (Pepe) Mancini
Vice presidente dell’associazione “Figli del Mondo” di Rimini, che si occupa di responsabilità sociale d’impresa