I dati della Cgil nella metalmeccanica: in cassa integrazione 1.155 persone (1.002 operai e 153 impiegati)
Sessantatré aziende hanno messo i propri dipendenti in cassa integrazione. In totale occupano 3.225 addetti; circa la metà, 1.663 (1.385 operai e 278 impiegati) utilizzano l’ammortizzatore sociale. I mille precari senza diritti. Le imprese artigiane. Commesse giù del 40 per cento
L’INCHIESTA
di Francesco Toti
– Sessantatré aziende della provincia di Rimini hanno messo i propri dipendenti in cassa integrazione. In totale occupano 3.225 addetti; circa la metà, 1.663 (1.385 operai e 278 impiegati) utilizzano l’ammortizzatore sociale. A costoro vanno aggiunti i circa 1.000 precari che non hanno diritto ai sussidi di disoccupazione, più centinaia di addetti delle imprese artigianali.
Un autentico cataclisma per l’economia provinciale.
La fonderia dell’Scm, che è una goccia nel grande mare del gruppo ma che ha sempre fatto utili e che ha tra i clienti Fiat e Toyota, ha fatto fare le ferie lunghe: dal 12 dicembre al 12 gennaio. Non era mai successo. Peggio nelle officine per restare in casa Scm, colosso mondiale delle macchine per la lavorazione del legno. Nelle officine di Rimini su 400 occupati 172 (36 gli impiegati) sono in cassa integrazione, più orario ridotto con rotazione. Stessa storia allo stabilimento dell’Scm a Villa Verucchio. Su 320 addetti, 195 fanno cassa integrazione, orario ridotto con rotazione.
Se non è più vero che quando la Fiat tossisce, l’Italia sta male, forse è vero che quando la più grande azienda della provincia di Rimini, e la prima in Europa del settore, zoppica, il comparto meccanico della provincia non cammina. Legate al colosso Scm ci sono una miriade di piccole imprese artigiane che le fanno parti e contribuiscono alle fortune dell’intero territorio.
Ma prima ancora che fare impresa, c’è l’uomo. Un piccolo imprenditore-terzista della meccanica con 5 operai, va con le lacrime agli occhi dal suo committente, un terzista più grande e strutturato che causa la crisi gli ha cancellato gli ordinativi. Chiede lavoro. Se non gli arriva nulla nell’arco di pochi mesi, perde l’azienda e la casa dopo 20 anni di sacrifici.
Una torneria di 40 unità, ne ha la metà in cassa integrazione.
Per la Ct Arredamenti (tra i clienti la Ferretti Craft), sapienza artigianale che sforna altissima ebanisteria, dal 13 gennaio è cassa integrazione. Fanno sapere: “Nel 2009 ci accontentiamo anche del 50 per cento in meno di fatturato rispetto al 2008”.
Dal salone nautico di Genova non sono fioccate come al solito le ordinazioni al primo gruppo del mondo della nautica: la Ferretti Craft di Cattolica-San Giovanni.
In ginocchio anche l’oleodinamica (bracci per gru) ed a cascata il settore lavorazione-lamiere.
I dati dell’ufficio studi della Cgil affermano che nella metalmeccanica sono in cassa integrazione 1.155 persone (1.002 operai e 153 impiegati).
Afferma Graziano Urbinati, segretario confederale della Cgil: “Un livello di disoccupazione simile, che ha coinvolto così tante imprese, così tanti lavoratori, non capitava da decenni. Forse neppure negli anni Ottanta quando l’Scm riorganizzò il gruppo per poi rilanciarsi. Siamo in un periodo di difficoltà straordinaria”.
Il dato non certo ma verosimile, che dà il senso, è che la cassa integrazione del 2008 sia di circa 500 volte superiore a quella dell’anno precedente.
Sono in palese affanno anche aziende che non lo erano mai state, che hanno sempre investito in tecnologia, uomini, strumenti, stabilimenti. Che non si sono mai fermate.
Una di queste, un fiore all’occhiello non del Riminese ma dell’Italia, eccetto una piccola flessione nella risacca del ’98, non ha mai conosciuto la parola flessione. Orgoglioso e forte, con molta civiltà e sicurezza, il proprietario dialogava (e continua a farlo) alla pari anche con il cliente-multinazionale che valeva un quarto delle sue commesse. Invece, da settembre, non fa che ricevere la disdetta di ordini già nei cassetti. L’ultima è dei primi di dicembre: altro 25 per cento in meno.
Telefonata negativa che arriva, telefonata negativa che parte verso il sub-fornitore: una catena che fa male. E nella crisi a pagare le conseguenze peggiori sono le imprese meno strutturate, quelle che si sono messe appena su, quelle partite con i grandi investimenti. Quelle sfortunate. Che hanno tentato il salto, che hanno aperto attingendo dalle banche o dalle società di leasing. Si potrà anche essere dei bravi ragazzi, ma questa è una crisi che a parere degli esperti, per restare confinati nell’ambito della provincia di Rimini, se entro febbraio non riparte la macchina mondiale della domanda, metterà in ginocchio molte piccole, medie e grandi imprese. Tutte.
Sempre a parere di alcuni esperti un altro dei motivi della crisi è la delocalizzazione; sempre più aziende che vanno a produrre dove il lavoro costa meno: Europa dell’Est, Estremo Oriente. Esperto che si fa una domanda: ma queste imprese si stanno salvando?
La fotografia economica della provincia di Rimini nei primi sei mesi dell’anno era da vento in poppa nell’indagine fatta da Confindustria e presentata ai primi di dicembre. L’export aveva fatto registrare un più 17 per cento: da 722 a 845 milioni di euro. La più importante crescita tra le province dell’Emilia Romagna. Mentre le importazioni sono state sullo stesso livello dell’anno precedente. Nel 2007, le esportazioni complessive provinciali si attestarono a 1.535 milioni di euro.
Maurizio Focchi è il presidente della Confindustria e titolare della Focchi, azienda leader in Europa nella costruzione di facciate continue. Argomenta: “La crisi sta portando disoccupazione, cassa integrazione, ma Rimini ha basi buone per uscirne”.
I primi mesi della Seconda guerra mondiale furono definiti “strani” dal filosofo francese Jean Paul Sartre al fronte sul confine franco-tedesco. Il conflitto era stato dichiarato ma non si sparava. Ed è strana questa crisi economica della seconda metà del 2008, come un temporale al cielo sereno. I commentatori non sanno quali commenti fare e quali pesci prendere. Anche questa è guerra: economica. Con commesse giù del 40 per cento.
Focchi, presidente della Confindustria e titolare della Focchi: “La crisi sta portando disoccupazione, cassa integrazione, ma Rimini ha basi buone per uscirne”
Urbinati, segretario confederale Cgil: “Un livello di disoccupazione simile, che ha coinvolto così tante imprese, così tanti lavoratori, non capitava da decenni”
NUMERI – LA SPERANZA
Moda, nel primo trimestre 2009: export più 32 per cento
– Nel primo trimestre del 2009, il settore della moda incrementerà le esportazioni del 32 per cento rispetto allo stesso periodo del 2008. La stima è stata fatta dall’Unioncamere. Ogni mese, valicheranno i confini per il mercato mondiale “pezze” pari a 281 milioni di euro; erano 213. Il picco del settore avvenne nei primi mesi dello scorso anno, nonostante l’alto valore dell’euro.
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“Colpa della speculazione e dell’euro forte”
Bruno Bargellini, presidente dell’Api della Provincia
di Rimini. Le nostre macchine il 40% più care
L’INTERVISTA
“Oltre che con la qualità del lavoro e dell’innovazione ci salveremo anche con la fortuna. Difficile per chi è nella fase degli investimenti”
– Per un breve periodo con 1,26 dollari si acquistava un euro. In quella settimana Top Automazioni di Santarcangelo, 60 dipendenti, ufficio tecnico con 7-8 addetti, vende 4 container di macchine utensili per un valore di circa 200.000 dollari. Oggi, è impossibile. La moneta americana è molto debole; per acquistare un euro ci vogliono oltre 1,40 dollari. Sullo scenario mondiale è meglio acquistare prodotti dagli Stati uniti, India, Cina Giappone.
Questo pensiero è di Bruno Bargellini, presidente dell’Api (Associazione della piccola e media industria della provincia di Rimini), nonché titolare della Top Automazioni che vende all’estero (Stati Uniti, Germania, Francia e Est Europa il 50 per cento della produzione).
“E’ una crisi strana – continua Bargellini -. Non ci sono ordini, ma è così a livello generale. Da ottobre in poi c’è stata una caduta verticale delle commesse: da panico. Ed i segnali che giungono non sono confortanti da nessuna parte. Come imprenditori faremo il massimo, ma abbiamo bisogno anche dell’aiuto delle banche, che negli ultimi periodi hanno stretto il credito e chiesto di rientrare. Il momento difficile è figlio della speculazione, ma per noi anche del caro euro rispetto al dollaro. E’ sopportabile se le macchine utensili oscillano tra il 10 e 20 per cento in più; ma col 40-50-60 per cento più cari non siamo competitivi anche se proponiamo dei gioielli tecnologici. Basta mettersi nei panni di chi deve acquistare. Va rimarcato che i giapponesi propongono cose pregevoli”.
A chi gli chiede se ce la caveremo risponde: “Ora si vende dalla mattina alla sera, come con la mortadella. Impossibile programmare. Spero che la crisi passi in fretta. Abbiamo una provincia che nella meccanica ha investito molto ed innovato dopo la crisi del ’98, quella sì che era di mancanza di qualità di prodotti. Per farcela, oltre alla bontà del lavoro, ci vuole anche una buona dose di fortuna. Chi è nella fase piena degli investimenti ha grosse difficoltà; per superare gli ostacoli ci vuole la dea bendata: un ordine, la banca sensibile”.