– Il bellissimo discorso agli americani di Barack Obama, l’uomo che ha posto fine alla politica conservatrice, menzognera e imperialistica di Bush, ha reso ancora più stridente il contrasto tra le luminose prospettive statunitensi e la palude mefitica della politica e della società italiana di oggi. I seguaci di Obama possono sperare nella creazione della sanità nazionale, nella correzione dello sviluppo in funzione della salvaguardia dell’ambiente, in una nuova scuola veramente aperta agli indigenti capaci e meritevoli, nel rifiuto dell’onnipotenza del capitalismo senza regole. Noi dobbiamo accontentarci delle leggi ad personam, dei conflitti d’interesse, dei voli italiani a spese del contribuente. Una bella differenza.
A proposito della società italiana: proprio pochi giorni prima del giuramento di Obama di fedeltà alla Costituzione, Claudio Magris, un gigante della letteratura italiana contemporanea, tesseva sul “Corriere della Sera” l’elogio di Tito Perlini, docente di estetica all’Università di Venezia e severo critico delle degenerazioni della democrazia italiana. Lo faceva con parole che meritano di essere conosciute dai lettori della “Piazza”, e che riporterò, perché non saprei usarne di più penetranti e suggestive.
Mi piacerebbe che tornasse in una delle nostre brave biblioteche, organizzatrici di incontri con i filosofi, quel Perlini che il 26 agosto 1998 partecipò al meeting di Rimini, confrontandosi con Andrea Fidel Gonzales, docente di Storia della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, sul tema “Il sogno incanta, l’ideale incarna: esempi dalla storia”. Averlo non sarà facile, perché Perlini è molto pigro, riluttante a muoversi, e per di più alieno dalla moda dell’ apparire. Tanto grande quanto schivo di pubblicità. Ma, mi si creda, varrà la pena di convincerlo a farsi ascoltare.
Perlini è uno che in un recente saggio ha deplorato, a proposito della pseudocultura del nuovo ceto medio imperante nell’Italia di oggi, questa «dittatura dell’ opinione pubblica manipolata che legittima ogni forma di demagogia posta al servizio degli interessi dominanti sul piano economico e finanziario».
Già studioso apprezzatissimo del marxismo critico della Scuola di Francoforte, di Lukacs e di Gramsci, Perlini è un uomo della sinistra minoritaria italiana che non ha cambiato bandiera come tanti che si sono venduti a Berlusconi, ed infatti stigmatizza la «colloidale “cultura media” che avviluppa come un chewing gum – sono parole di Magris – i giornali, l’università, la televisione, l’editoria, il dibattito intellettuale, livellando ed equiparando tutti i valori in una melassa sostanzialmente uniforme e facilmente digeribile, che smussa ogni reale contraddizione e scarta o disarma ogni elemento capace di mettere realmente in discussione l’ordine imperante – ogni scandalo e follia della croce, per citare il Vangelo».
E ancora Magris riassume il pensiero di Perlini definendo quella “cultura media” come la «(in) cultura dell’optional, che ammannisce un po’ di tutto mettendo tutto insieme sullo stesso piano e sullo stesso piatto, pornografia e prediche sui valori familiari, fumisterie esoteriche e pacchiane superstizioni, un etto di cristianesimo e un assaggio di buddhismo, volgarità plebea e volgarità pseudo aristocratica di spregiatori delle masse, graditi a queste ultime, Madonne di gesso che piangono e veline che discutono con filosofi, abbronzature di famosi su belle isole e pii cadaveri dissotterrati e messi impudicamente in mostra».
Barack Omaba ha vinto anche per noi, perché, nel suo Paese, ha vinto anche su tutto questo.
Alessandro Roveri
Libero docente dell’Università di Roma