[b]IL LIBRO[/b]
Libro di guerre (e di pace), di sangue, di libertà, di nostalgia, di amore struggente per la figura del nonno materno, protagonista di un’epopea militare e civile di altissimo profilo, romagnolo purosangue che ci ricorda le migliori tradizioni della nostra gente: tenacia, onestà, rigore morale, carattere generoso ma soprattutto libertà.
Hemingway dicevamo: nella prima parte del volume, scritto in uno stile limpido e rigoroso, lontano anni – luce dagli sperimentalismi delle avanguardie (troppo spesso vuote di contenuti) mi è venuto in mente “Addio alle armi” , Caporetto, l’amore struggente del soldato americano Henry per Catherine, gli austriaci, le rugosità carsiche (Ungaretti insegna), tutto un mondo che soltanto un forte ingegno storico-letterario può padroneggiare.
E tale è l’autrice, giovane romagnola-friulana trapiantata da Bologna qui a Riccione per nutrirsi finalmente della “casa” del nonno, in questa Romagna forte e gentile.
Poi Fenoglio, la Seconda Guerra Mondiale, il senso profondo della libertà (i famosi fazzoletti azzurri) che fa, dello scrittore di Alba, il più antiretorico partigiano che l’Italia conosca.
Fughe, fame, nazisti, il fratello musicista (alter ego esile e delicato), la casa del padre-padrone, autoritario e arcigno, chino sui suoi registri contabili di proprietario di fornaci in quel di Imola.
Il tutto infine si avvita, si dipana, trova il suo epilogo (in questa che è pur sempre una tragedia di guerre) e si conclude con un omaggio (velato ma non troppo) alla scrittrice Oriana Fallaci con la giovane autrice che parte, imbarcandosi su un jet per “il profondo Sud” (Argentina? Brasile?) con quella figurina di bambino-scolaro indimenticabile, Ubaldo, che tanto ci ricorda la nostra infanzia povera e solitaria.
Davvero un bel libro, scritto bene (cosa assai rara in questi tempi), di sentimenti forti, limpidi, dalla visione etica (e immaginativa) non discutibile, dal pathos che solo scorre nelle vene e negli occhi di chi ama veramente.
Orio Rossetti