Mendico è colui che chiede e cerca con pazienza, con costanza, perché sa che troverà. Il mendico ha nel cuore una domanda e non se l’è data da solo; qualcuno gliel’ha messa dentro. La consistenza, la serietà, lo spessore di tale domanda, sono la garanzia che il mendico troverà quello che cerca. Perché a partire da quello che cerca, da quella realtà, è proprio da lì che è cominciato l’affascinante e quindi è incominciata la ricerca.
E subire il fascino è il segno concreto dell’esistenza, della realtà che affascina.
La ricerca della Bellezza dà anche la misura della sproporzione fra chi cerca e colui che è cercato; la sproporzione è la lontananza, l’abisso fra il cercatore e il cercato, fra il mendicante e la bellezza. L’unica possibilità di incontrare allora è che il mendicante si faccia trovare, si faccia raggiungere dalla bellezza. Perché lui, il mendicante, con le sole sue forze non può raggiungerla; può solo intuirla, esserne affascinato, cercarla e averne nostalgia; proprio perché lui è mendicante e la Bellezza c’era prima di lui.
La Bellezza si fa intravedere in tanti modi. Una è l’immagine pittorica. Per secoli la chiesa ha parlato col linguaggio delle immagini (pittura, scultura); i fedeli non sapevano leggere. Il linguaggio delle immagini è comprensibile a tutti perché è più veloce delle parole. Dall’armonia dell’immagine pittorica nasce un’immagine dell’uomo reale, mai idealizzata e astratta (arte greca); un’immagine vera, riconoscibile e insieme elevata. L’arte dell’era cristiana disegna l’uomo con un’idea di lui che va oltre l’uomo e ha a che fare con un’idea di eterno, di cielo, di armonia che mette ordine nel mondo disordinato.
Questa rappresentazione dell’uomo è stata possibile nel corso dei secoli, grazie alla civiltà cristiana, grazie all’incarnazione: le radici del realismo della nostra arte pittorica si nutrono dell’evento fondante del cristiano, la presenza del mistero nella storia, nella materialità, qualcosa che colma una sproporzione, una distanza, un abisso, qualcosa che sale, qualcosa che scende come la Pentecoste, qualcosa che sale come l’Ascensione.
L’Eterno che sposa il transitorio e allora tutto si trova, tutto si compie e ha senso.
E chi non crede?
Il Cristianesimo: non importa se accettato e rifiutato. Accettato a metà, o riguardato con al fondo del cuore il tormento del dubbio, della nostalgia, o della ribellione. Il patto costitutivo dell’incarnazione toglie ogni possibile astrattezza anche alla più ardita speculazione filosofica, perché questa deve restare attaccata alla carne, perché è lì che è apparso il Mistero.
La tradizione cristiana e la scienza.
La tradizione cristiana non solo detta l’indole dell’arte italiana, ma anche sapere tout court e della tecnica. Il fatto che il mondo è stato creato toglie ogni divinizzazione alle cose: c’è qualcuno che ha dato consistenza a ciò che esiste, in quanto ha avuto un’origine, non è Dio, perciò lo scienziato può indagare, toccare, provare, sperimentare, verificare. Se la natura è divinizzata, è inavvicinabile dall’uomo. Non puri custodi, ma interagenti con essa, nel rispetto dei suoi equilibri. La scienza ha fatto i primi passi nelle culle del cristianesimo, nei monasteri (Camaldoli, Monte Cassino).
C. C.