– I paradisi fiscali li conosce come le proprie tasche. E’ stato uno di coloro che ha permesso di portare alla luce del sole i mille rivoli finanziari del crack Parmalat e forse molti non sono mai stati svelati. Si diverte come un bambino col giocattolo preferito in questo nascondino a ritroso. Si chiama Piero Manaresi; ha 41 anni ed è di Riccione.
Uffici a Bologna e Milano, Piero Manaresi di mestiere fa il consulente aziendale per le cessioni e le acquisizioni. Con lui in società un altro riccionese, Massimo Magnani. L’ultima transazione importante è l’aver contribuito a far passare di mano un gruppo ortopedico italiano ad un’azienda tedesca concorrente.
Capace di capire da dove arrivano i soldi, come vengono frullati e come escono, è stato chiamato come perito dell’accusa dai tribunali a trovare il bandolo finanziario di matasse ingarbugliate: l’affare Parmalat nel 2004, la confisca dei beni di Michele Aiello presunto prestanome del capo-mafioso Bernardo Provenzano per un valore di 250 milioni di euro nel 2005 e il fallimento della holding di Giuseppe Gazzoni Frascara che controllava il Bologna Calcio nel 2007.
Per le somme, il blasone dell’azienda non ci sono dubbi che il crack Parmalat sotto il peso di quasi 15 miliardi di debiti è stato l’incarico più importante ricevuto. Ha messo le sue competenze al servizio del tribunale di Parma per un anno e mezzo. Dell’affare Parmalat ricorda: “Ho ricostruito i rapporti tra Calisto Tanzi [il proprietario, nota del redattore], Cragnotti [titolare della Cirio, ndr] e la politica.
Ho ricostruito il periodo 1988-1993, più una serie di strani derivati [prodotti finanziari venduti in gran parte ai piccoli risparmiatori, ndr]”.
“Il crack Parmalat – continua il giovane consulente riccionese – è un gioco delle tre scimmie. Tre gli attori coinvolti: i politici, gli organi di controllo esterno e i controlli interni. Da un punto di vista industriale la Parmalat era fallita nell’88. Fu salvata da una speculazione di Borsa, dove tutti si girarono dall’altra parte. Vennero raccolti 300 miliardi di lire dal mercato, in gran parte piccoli risparmiatori. I vantaggi non furono tanto i 300 miliardi di lire, ma il fatto che con la quotazione la Parmalat si fregiò della patente di società quotata e come tale sottoposta agli organi di vigilanza: la Consob (Commissione nazionale per le Società e la Borsa), le società di certificazione e rating. Tutto questo dovrebbe dare garanzie. Dunque, con la Parmalat in Borsa il piccolo risparmiatore non poteva che avere fiducia. Nell’88, la Parmalat aveva un patrimonio negativo di 180 miliardi di lire. Con artifizi, il patrimonio venne portato in positivo e l’azienda quotata, quando davanti non aveva che due strade: o vendere a pezzi, o tutto (la svizzera Nestlè aveva pronto un’offerta)”.
“Ho interrogato Tanzi quatto-cinque volte – continua Manaresi – da un punto di vista umano è persona gradevole; con un’idea industriale ottima ma si era allargato troppo in un settore, quello alimentare, a basso margine di guadagno. Dove il lancio di nuovi prodotti (merendine, succhi di frutta, pelati) richiedevano investimenti quasi impossibili da sostenere. La Parmalat è ufficialmente fallita il 19 dicembre del 2003, ma qualcuno mi deve spiegare come mai ancora l’8 dicembre dello stesso anno in un report City Group invita ad acquistare azioni Parmalat. Due le risposte: o sei un cretino, oppure sei un delinquente”.
Sposato, una figlia di cinque anni e mezzo, inglese fluente, laurea col massimo dei voti in Economi e commercio a Bologna, Piero Manaresi tiene un seminario di “Riciclaggio, reati finanziari e crisi e finanza” all’Università di Bologna. Dal suo punto di osservazione, con i contatti stretti con gli imprenditori, quali mesi ci si prospettano? “Il 2010 sarà durissimo. Il portafogli ordini non si muove. Il 2009 si chiude con una produzione industriale tra il meno 30 e il meno50 per cento. Mentre il comparto alimentare se la cava meglio; con il consumatore che acquista prodotti di qualità più scadente. Ad esempio, il comparto wuerstel ha avuto un incremento del 20 per cento. Altri settori che vanno benino sono i servizi legati alla sicurezza, e le aziende medicali”.
In quali settori si potrebbe investire? Manaresi: “In quelli alimentari e di nicchia, come per i ciliaci, ad esempio. In questo momento, il comparto alimentare, negli ultimi anni visto come il brutto anatroccolo, si sta prendendo la rivincita. E’ visto come un settore-rifugio. Non ha grossi margini, ma non ha neppure grossi rischi. Non scommetterei sulla moda, altro cardine del made in Italy. Credo che tutto sommato, complessivamente, ci aspettano altri 2-3 anni turbolenti”.
Come sono le nostre aziende? “Sono poco managerializzate, poco patrimonializzate, poco orientate al controllo dei costi e senza una pianificazione strategica. In questo momento, con volumi inferiori, tassi di crescita infimi, con le materie prime soggette a speculazione e instabilità, ce ne sarebbe estremo bisogno, ma poiché non l’ha mai fatto, non sei preparato”.