Ma era animata di due grandi cose: la Fede ed un grande senso del dovere. Per intenderci quelle due cose che sollevarono l’Italia negli anni ’50. L’azdora che si rimbocca le maniche, che lavora 18 ore su 24, che non butta via neanche uno spillo. La riviera romagnola non avrebbe avuto lo sviluppo che ha vissuto senza donne di questo stampo.
Loro infondevano coraggio ai mariti dopo che questi avevano firmato una marea di cambiali, tiravano su i figli (minimo 3 o 4) mentre lavoravano, facevano da mangiare per la famiglia e magari per i dipendenti dell’attività gestita dal marito. Si concedevano pochissimi svaghi.
La Sina era moglie di un fornaio. Si alzava alle 3 di notte per fare il pane e poi, mattino e pomeriggio, lo vendeva.
Faceva da mangiare per tutta la famiglia. La sera alle 9, lavati i piatti, a dormire. Ha trovato anche il tempo per crescere 3 figli. Non c’era neanche il tempo per stare male. Una volta si ammalò gravemente. Un brutto male.
Era 1969. Con i suoi tre pargoli, il più piccolo aveva 4 anni, salì a piedi alla Madonna di Bonora, passando per la Pedrosa. Chiese la grazia. L’ottenne. Il negozio era vicino alla vecchia scuola elementare. Quanti bambini mangiarono a ricreazione i maritozzi con la cioccolata, la pizza e la spianata della Sina. Finita la scuola alcuni, in attesa dei genitori che li venissero a prendere, si fermavano in un porto sicuro: il negozio della Sina.
Chiuso il forno la gente ancora cercava quei prodotti che avevano il sapore di un tempo ormai perduto, come la pagnotta dei morti ed i bracciatelli.
Quando dicevo che, assieme ai miei fratelli, avevamo ancora il piacere di assaporarli, suscitavo l’invidia dell’interlocutore. Ora la Sina se ne è andata. Come molte ragazze degli anni 30 aveva solo la 3^ elementare. Ma per noi, suoi figli, è stata una grande maestra.
Ci ha insegnato quello che nessun professore universitario avrebbe potuto insegnarci: la Fede e la forza di volontà necessaria per andare avanti nonostante le avversità della vita. Grazie Mamma.
Roberto Ghigi