LA RIFLESSIONE
di Franco Monaco*
– Si torna a parlare di Ulivo o meglio di nuovo Ulivo. Non ne dubitavo: a quella intuizione innovativa e vincente prima o poi si doveva tornare, anche se molte cose sono cambiate e un ciclo si è chiuso. Con luci e ombre, vittorie e sconfitte. Da ultimo ad affossare l’Ulivo che c’era hanno concorso almeno tre fattori: l’inopinata accelerazione di Veltroni verso un velleitario bipartitismo leaderista che ha consegnato al centrosinistra una sconfitta strategica (mai i rapporti tra i due poli sono stati tanto sbilanciati, al punto da mettere fuori gioco il centrosinistra); la crisi del secondo governo Prodi e della formula dell’Unione, che pur essendo cosa diversa dall’Ulivo, ancorché a torto, all’Ulivo è stata imputata; la legge elettorale “porcata” che, più di quanto non lo si sia avvertito, ha iniettato nel sistema politico logiche particolaristiche e dinamiche divisive.
Tre punti vanno chiariti: il progetto dell’Ulivo si è sempre iscritto dentro l’orizzonte del bipolarismo non del bipartitismo; di riflesso la politica delle alleanze è sempre stata nel dna dell’Ulivo, l’opposto della presunzione dell’autosufficienza del Partito democratico veltroniano; l’idea di una leadership autorevole e aggregante, che è cosa diversa dall’uomo solo al comando, doveva essere temperata da un vero partito con una sua effettiva democrazia interna e, soprattutto, da una spinta dal basso di cittadini, associazioni e movimenti. Come fu appunto per l’Ulivo di Prodi.
Va detto che la crisi dell’Ulivo ha molti padri e ha avuto una lunga gestazione. La sua vicenda è per intero segnata dalla relativa solitudine di Prodi nella sua estenuante fatica di farsi carico dell’interesse generale dell’impresa, circondato dagli egoismi personali e di partito. O in nome della retorica delle identità (posticce) o nel caparbio proposito di singoli e di gruppi di presidiare rendite di posizione. Chi ha seguito da vicino il tormentato percorso del primo Ulivo sa che le cose stanno diversamente rispetto alla rappresentazione convenzionale: le responsabilità della crisi vanno imputate a soggetti interni all’Ulivo stesso (Ds, Popolari, Margherita) non meno che al radicalismo alla sua sinistra e al trasformismo dei centristi alla sua destra.
L’Ulivo di cui si parla oggi si inscrive dentro coordinate decisamente diverse. Molte cose sono cambiate. Si discute di quali siano i suoi confini. Un po’ come si discuteva dei confini dell’Europa. Il paragone illumina il problema: per tracciare i confini si deve muovere dall’identità e dalla missione. L’Ulivo è un soggetto e un progetto fondato su un patto (patto e progetto comune sono parole che non a caso figurano nell’intervento conclusivo di Bersani alla festa nazionale del Pd di Torino). Un matrimonio e non un flirt tra forze sociali e politiche che si impegnano a dare vita a un centrosinistra organico e strategico. Di qui la teoria dei due cerchi (o addirittura tre, come si dirà): quello imperniato su un patto politico più impegnativo e stringente che non prescrive ma neppure esclude, a valle di un’esperienza politica e di governo comune, la costituzione di un soggetto unitario e – secondo cerchio – l’alleanza con forze esterne ad esso che tuttavia sottoscrivano con l’Ulivo un programma di governo per la legislatura a venire. Anche qui si rivela calzante il paragone con l’Unione europea: un soggetto in progress dai confini aperti a sempre nuove, ulteriori adesioni, che, in coerenza con lo slogan coniato al tempo del primo Ulivo, “esclude solo chi si esclude” da una comunità, sia chiaro, impegnativa (vedi la metafora del matrimonio politico). Una comunità-soggetto politico che condivida un progetto audacemente riformatore e di governo (“riformista” è parola pregiudicata, troppo spesso associata a un riformismo debole incline al moderatismo) chiaramente, inequivocabilmente situata nel campo del centrosinistra nel quadro di un bipolarismo da razionalizzare e stabilizzare, non da revocare.
Su queste basi concettuali e pratiche, si può, a valle, ragionare sulle alleanze tra le concrete forze politiche in campo, con i loro nomi e cognomi. Esemplifico: Pd, Sinistra e libertà di Vendola, Italia dei valori, socialisti, verdi e radicali (?), in quanto hanno fatto una chiara scelta di campo per il centrosinistra, sarebbero i naturali partner del nuovo Ulivo (primo cerchio); i centristi di vario conio (Udc e Api di Rutelli) sono gli interlocutori esterni all’Ulivo di un eventuale alleanza di governo (secondo cerchio). C’è infine il terzo, più largo e solo eventuale cerchio, quello comprensivo di tutte le forze decise a difendere la democrazia costituzionale qualora si precipitasse verso drammatiche elezioni nelle quali la posta in gioco fosse la concreta, incombente minaccia ai fondamenti stessi di uno Stato democratico e unitario, da parte della destra autocratica e populista.
Ma sia chiaro: questa complessa architettura politica, che non va qualunquisticamente bollata di politicismo, presuppone la linfa vitale di una mobilitazione democratica dal basso, la spinta di una diffusa attivazione civica, che fu la vera forza (e anche il segreto dell’appeal) del primo Ulivo. Questo l’ingrediente più importante ma anche più difficile. Dipende da tutti noi, ben oltre i partiti.
* Già parlamentare del Pd, presidente dell’Azione Cattolica Ambrosiana e dell’associazione Città dell’Uomo