LA RIFLESSIONE
– Ormai tutti lo sanno: il colesterolo alto nel sangue favorisce il deterioramento delle arterie e aumenta la probabilità di infarto, ictus, e simili. Così si ricorre a diete più o meno drastiche, e per periodi in genere limitati a quella fase di preoccupazione per la propria salute, che lentamente sfuma nella convinzione che “l’equilibrio psichico” è più importante… e l’attività fisica resta un ottimo rimedio troppo spesso dimenticato. I grassi animali sono i primi imputati in ogni dieta per abbassare il colesterolo. Il colesterolo stesso è un grasso animale, ma, paradossalmente, il suo contenuto negli alimenti non è così importante perché in prevalenza viene distrutto durante la digestione. Così quello che induce veramente il nostro organismo a produrre più o meno colesterolo sono i cosidetti “acidi grassi”. Questi se sono di origine vegetale (“acidi grassi insaturi”), sono liquidi, cioè sono gli olii; se sono di origine animale (“acidi grassi saturi”), sono solidi: si pensi al burro, allo strutto, al lardo e al grasso che si vede associato ai tagli di carne, negli insaccati e comunque presente nei formaggi soprattutto stagionati.
Gli acidi grassi insaturi abbassano il colesterolo, ma vanno usati con moderazione per il loro contenuto in calorie; gli acidi grassi saturi aumentano il colesterolo e quindi andrebbero proibiti, ma le proteine animali rappresentano un apporto nutritivo importante, per cui si dà la preferenza a quelle carni che non “nascondono” il grasso, permettendo di separarlo con facilità, come le carni cosidette “bianche” (polli, conigli, …), e le carni magre (come recentemente il maiale).
Gli acidi grassi insaturi (quelli di origine vegetale) in natura sono una famiglia abbastanza omogenea, con poche eccezioni, ma l’uomo, si sa, ama modificare la natura, talvolta maldestramente: la “raffinazione” e la “idrogenazione” degli olii con metodi chimici (ad esempio la margarina) o col riscaldamento (i fritti!) modificano non solo la composizione chimica, ma anche l’assetto “spaziale” di queste molecole per cui una struttura curvilinea e morbida (cosidetta configurazione CIS) si trasforma in un struttura lineare e rigida (cosidetta configurazione TRANS). Dal 1990 sappiamo che gli acidi grassi insaturi TRANS hanno un effetto molto negativo: aumentano il colesterolo più degli acidi grassi saturi (quelli di origine animale) ed, a differenza di questi ultimi, aumentano anche il rischio di diventare diabetici. Le evidenze sono tali che le più tolleranti associazioni scientifiche internazionali indicano la dose accettabile inferiore allo 0,5% delle calorie giornaliere (meno di 1 grammo circa).
Una piccola quantità di grassi TRANS si forma nello stomaco dei ruminanti a causa dell’azione di determinati batteri. Così nel latte, nei prodotti caseari e nella carne dei ruminanti è presente circa un 4% di grassi TRANS, ma questa quantità è minima se si pensa che la margarina ne contiene il 15-50%, i dolci di pasticceria con grassi vegetali idrogenati il 30-60%, gli olii parzialmente idrogenati usati nei fast food il 15%, i fritti in genere dal 20% al 60% in rapporto ai tempi di cottura: una merendina ai grassi idrogenati contiene la stessa quantità di acidi grassi insaturi TRANS di circa 8 litri di latte intero non cotto. Dal luglio 2008, la città di New York ha proibito l’uso di acidi grassi insaturi TRANS nei locali pubblici; in Italia, patria del mangiar sano, per questo aspetto, non abbiamo alcuna garanzia.
Spero che il messaggio sia chiaro: per mantenere basso il colesterolo, prima di ricorrere ai farmaci, è bene fare attività fisica, seguire una dieta corretta usando prodotti al naturale ed evitare i TRANS (il consiglio fa solo riferimento a prodotti alimentari).
Dottor Luigi Rusconi
Obesità, com’è difficile curarla
Tre fattori: genetici, ambientali e psicologici. Interessa non solo i paesi sviluppati
LA RIFLESSIONE
– Un nuovo termine è entrato a far parte del nostro vocabolario: “globesità”, ad indicare che l’obesità è una vera e propia epidemia che interessa non solo i paesi industrializzati, ma anche quelli in via di sviluppo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) definisce l’obesita’ “una malattia cronica ad eziopatogenesi multipla”, cioè è una malattia vera e propria che può avere tante cause.
Per fare il punto della situazione ci sono due modi fondamentali. Il primo è il cosidetto “Indice di Massa Corporea” (B.M.I. dall’inglese “Body Mass Index”) che si calcola dividendo il peso corporeo in Kg per il quadrato dell’altezza in metri [ad esempio 70 Kg / (1.70 m x 1.70 m) = 24.22]: è normale fino a 25, si parla di sovrappeso tra 25 e 30, di obesità sopra 30 (di primo, secondo e terzo grado se superiore a 35, tra 35 e 40, sopra 40). Il secondo modo, più semplice, ma altrettanto efficace, consiste nella misura del girovita: deve essere inferiore a 88 cm nelle donne e 102 cm nell’uomo.
Negli obesi si riduce l’aspettativa di vita e aumenta significativamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, ipertensione arteriosa, diabete e alcuni tipi di tumori.
Perché un individuo diventa obeso? Principalmente per l’interazione di 3 fattori: genetici, ambientali e psicologici. L’elemento fondamentale è rappresentato da una assunzione di calorie superiore a quello consumato ogni giorno, quindi per dimagrire è necessario sia ridurre le calorie nella dieta sia aumentare quelle consumate con l’attività muscolare.
L’attività fisica costante non solo ha la stessa efficacia di una dieta corretta, ma aiuta a perdere il grasso e a mantenere le masse magre (i muscoli), laddove la sola dieta provocherebbe un dimagramento anche a scapito della muscolatura.
Il dimagramento va perseguito lentamente: è un buon risultato un calo di peso del 5-10% all’anno. Cali più bruschi rischiano di alterare gli equilibri metabolici e indebolire la stabilità psichica. Riduzioni di peso di un chilo in un giorno, non sono dovuti a perdita di grasso, ma di acqua corporea; per perdere un chilo di tessuto adiposo è necessario risparmiare circa 8.000 Kcalorie.
Non esiste una dieta “miracolosa”, quella che alla fine ci fa restare in forma. La tendenza ad ingrassare va combattuta con costanza tanto che dieta e attività fisica devono diventare uno stile di vita possibilmente piacevole per poter durare negli anni.
Solo in casi veramente selezionati può essere necessario ricorrere alla terapia farmacologica, psicologica o, più raramente, può essere necessaria la terapia chirurgica.
Dottor Eugenio Fantini
Lo scompenso cardiaco Modificare stile di vita
Le cause: storia familiare, dal diabete, dalla pressione alta, dall’aumento del colesterolo, dal fumo, dall’obesità, dall’alcol, elevate quantità di sale Che fare? Modificare lo stile di vita
LA RIFLESSIONE
– Lo scompenso cardiaco è una malattia progressiva la cui origine è una funzione cardiaca insufficiente rispetto alle richieste dell’organismo. Essa si manifesta con congestione degli organi e inadeguato flusso sanguigno ad organi e tessuti.
Molteplici le cause dello scompenso; le più comuni sono: la cardiopatia ipertensiva, la malattia coronarica (angina, infarto), la malattie di valvole cardiache, o infine da cardiomiopatie, ossia malattie primitive del muscolo cardiaco. Tutte, a loro volta, possono essere favorite da una storia familiare di infarto, dal diabete, dalla pressione alta, dall’aumento del colesterolo, dal fumo, dall’obesità marcata, dal consumo pesante di alcol, dall’assunzione di elevate quantità di sale nella dieta o da aritme cardiache sostenute con ritmo cardiaco molto rapido.
La progressione della malattia comporta la compromissione di numerosi organi come il rene, i polmoni, il sistema neuroendocrino etc.
Attualmente rappresenta il problema clinico più rilevante nelle società economicamente avanzate. In Italia possiamo quantificare in 2 milioni i pazienti: più di 1/3 necessita di ricovero ospedaliero ogni anno.
I pazienti con i fattori di rischio sopra ricordati sono potenziali candidati a sviluppare una cardiopatia che potrà evolvere verso lo scompenso; in questo caso la prevenzione è fondamentale per interrompere tale circolo vizioso.
La prima cosa da modificare è lo stile di vita: evitare di fumare, limitare l’alcol a non più di un bicchiere di vino al giorno, controllare il colesterolo, l’apporto di sale, mantenersi in attività e con un peso adeguato, controllare la pressione.
Quando lo scompenso cardiaco si è già instaurato queste sono comunque regole sempre valide e fondamentali per rallentare l’evoluzione della malattia. In questo stadio occorrerà però ricorrere a farmaci specifici che aiuteranno il cuore a mantenere una funzione adeguata.
Negli ultimi anni al trapianto cardiaco, si sono aggiunte altre terapie, come la resincronizzazione cardiaca e i sistemi di assistenza ventricolare. Senza dubbio, la resincronizzazione è quella che ha modificato maggiormente la prognosi dei soggetti. Si ottiene attraverso l’impianto di un pacemaker/defibrillatore in anestesia locale. Non tutti i pazienti ricevono però adeguato beneficio da questa terapia e la selezione dei candidati è particolamente importante. La cardiologia di Riccione si è recentemente dotata di un sistema di studio ecocardiografico del cuore che aiuta a capire quali potranno essere i migliori candidati da sottopporre all’intervento.
Dottor Marco Marconi
ASSOCIAZIONE GLI AMICI DEL CUORE
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