– Partiamo da due stimoli per la nostra riflessione.
«La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità» (Giovanni Paolo II, Fides et ratio,- 1998 – n. 1)
«Scienza e fede non possono andare insieme perché la fede presuppone di credere ciecamente in qualcosa di rivelato nel passato, una specie di leggenda che ancora adesso persiste, senza criticarla, senza il diritto di mettere in dubbio i misteri e i dogmi che vanno accettati o, meglio, subiti» (Umberto Veronesi,- oncologo – Intervista a SkyTg24,- 4 febbraio 2010 -).
Il pensiero del Prof. Veronesi si potrebbe parafrasare così: la scienza impiega la ragione, studiando la realtà che abbiamo davanti e cercando di comprenderne i meccanismi; la fede richiede invece di credere ad una tradizione su cose del passato; di accettare acriticamente delle verità inaccessibili alla ragione. In sostanza, religione e scienza sono «due mondi e concezioni del pensiero molto lontani l’uno dall’altro che non possono essere abbracciati tutti e due».
Si tratta evidentemente di una visione molto discorde rispetto a quella affermata da Giovanni Paolo II nell’Enciclica dedicata esplicitamente a questo tema, nel 1998.
Le affermazioni del Prof. Veronesi ci offrono due elementi fondamentali di riflessione:
1. La fede ha a che fare semplicemente con una tradizione-leggenda su cose passate?
2. La ragione è costretta ad accettare ciecamente le verità di fede?
L’idea che sottostà a questa concezione è che la fede sia una credenza, se non irrazionale, almeno da lasciare totalmente alla discrezionalità del singolo, alla sua sensibilità religiosa. Un atteggiamento veramente scientifico dovrebbe rifiutare di aderire alle verità di fede, in quanto non hanno nulla a che vedere con la ragione.
Ma allora?
Che rapporto ha ciò che Dio ha rivelato – cioè il contenuto della nostra fede – con la ragione umana, con le verità che possiamo conoscere grazie alla luce naturale della ragione?
Sono davvero due mondi incompatibili tra di loro, come sostiene il Prof. Veronesi, o si compenetrano armoniosamente e si perfezionano a vicenda, come indica Giovanni Paolo II ?
Le questioni messe qui sul tappeto non sono solo disquisizioni accademiche: sono invece molto attuali e si trovano, sovente inespresse, implicite, alla base dell’atteggiamento agnostico, indifferente o più spesso relativista di tanti nostri contemporanei. Basta scorrere la pagina web con i commenti all’intervista di Veronesi, per trovare molte opinioni preconcette o superficiali, oppure, spunti interessanti accompagnati da errori grossolani.
Vale insomma anche per noi, oggi, l’invito rivolto da Pietro ai cristiani del suo tempo: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3, 15).
Pronti a rispondere, e come? In due modi.
Possiamo infatti contemplare e studiare una rivelazione cosmica, e contemporaneamente, leggere, approfondire e meditare una rivelazione storica o soprannaturale, che ha il suo vertice in Cristo, pienezza della rivelazione.
Dio comincia a rivelarsi all’uomo con la creazione, la prima forma di rivelazione è perciò quella naturale o cosmica. Il mondo che Dio ha creato e messo a nostra disposizione..
La creazione è in sé una parola rivolta agli uomini, il libro della natura è aperto alla conoscenza umana, a tutte le ricerche e scoperte che l’uomo vuole e può fare e, attraverso le quali, può cogliere le tracce di Dio, della sua esistenza e della sua presenza attiva.
Qui può sorgere una domanda importante: può l’uomo cogliere con la ragione la verità dell’esistenza di Dio e della creazione come opera Sua, riconoscendo quindi ciò che narra la Scrittura come possibile rivelazione di Dio?
di Gianfranco Vanzini
(Continua il mese prossimo)