LA STORIA
di Fosco Rocchetta
– Intermezzo di pace in mezzo alla Seconda guerra mondiale a Riccione col concerto del violoncellista di fama internazionale Camillo Oblach. Al pari di tante famiglie bolognesi, modenesi, milanesi, nel corso del 1942, il celebre violoncellista Camillo Oblach (Padova 1895-Bologna 1954), decise di sfollare da Bologna, per trasferirsi con moglie e figli a Riccione, ove affittò un appartamento di una villetta in viale Baracca.
“Avevo 17 anni e subito con mia madre sono andato ad iscrivermi al Liceo Scientifico Statale ‘Serpieri’ di Rimini, per l’anno scolastico 1942-43, scuola ove i registri erano sconvolti tanto quanto gli esseri umani”, scrive Giorgio Oblach, figlio del musicista, nelle pagine “riccionesi” del suo libro “Ho fatto… la guerra”, pubblicato nel 2009 dall’Editografica di Rastignano (Bologna).
Il saggio, ci riporta ai momenti terribili del passaggio del fronte in Romagna, dei ripetuti bombardamenti su Rimini, che causarono oltre seicento vittime civili, alla cruenta battaglia di Coriano, e ad altri luttuosi eventi, la cui memoria sopravvive in quanti ne furono allora testimoni.
Giorgio Oblach narra che suonava la chitarra, e con tre amici aveva formato un quartetto, al quale si aggiunse il clarinettista Nicia (al secolo Fortunato Angelini), un giovane bagnino, che si esibiva in casa di conoscenti, ed anche in alcuni alberghi: il Domus Mea, il Vienna, il Boemia, che nell’inverno del 1942-primavera-estate 1943, erano aperti per ospitare, quasi esclusivamente, soldati tedeschi convalescenti per ferite di guerra.
“I militari tedeschi”, prosegue la narrazione, “erano in linea di massima quasi tutti attorno ai 20 anni e qualcuno dai 20 ai 40, tutti graduati, caporali, sergenti… qualche capitano e colonnello, con i quali avevamo instaurato un simpatico rapporto di amicizia… Ci raccontavano delle loro famiglie… Le serate più belle erano quelle ‘dell’addio’, in cui portavamo l’ultimo saluto ai militari completamente guariti che dovevano presentarsi al comando per essere assegnati ai vari fronti di guerra… Verso la fine della serata venivano cantate malinconiche canzoni di guerra come Lilì Marlene, che portava uno struggente respiro d’amore…”.
“In questa atmosfera, il 7 novembre 1943, ci accadde l’avventura che con i miei genitori abbiamo ricordato per lungo tempo”, scrive Giorgio Oblach.
“Era una notte come tante altre e dopo aver fatto due chiacchere e sentito un po’ di radio (forse anche Radio Londra), verso le 11 tutti decidiamo di andare a dormire… Potevano essere passate due-tre ore quando improvvisamente veniamo svegliati dall’abbaiare di Tabù, il nostro cagnetto, e da un forte rumore di motori, un vocio di grida e urla che chiaramente si distinguevano essere di lingua tedesca. Io salto giù dal letto seguito da mia sorella e di corsa andiamo nella camera dei nostri genitori che, anche loro già in piedi, ascoltavano accanto alla finestra che cosa stava accadendo. Tutti eravamo fermi come statue davanti alle tapparelle, con gli occhi sbarrati e fissi e guardavamo tra le fessure che col massimo silenzio avevamo creato, per vedere meglio. Lo spettacolo era proprio quello agghiacciante che avevamo immaginato. Una colonna di automezzi tedeschi formata da quattro camionette e una quarantina di militari si era fermata davanti a casa e proprio davanti al nostro cancelletto c’era una Volkswagen con alcuni militari che si capiva cercavano qualche cosa o, meglio, qualche persona.
Cosa stavamo provando tutti noi in quel momento è difficile da descrivere: già in passato mio padre era stato fatto oggetto di accertamenti per il nome che non essendo tipicamente italiano poteva essere ebreo o comunque straniero. Sentivo mia sorella tremare accanto a me ed io ero veramente terrorizzato; ci guardavamo l’un l’altro con un certo sgomento in attesa che a qualcuno venisse una idea e dicesse qualcosa. E avvenne quello che ci aspettavamo, ma che speravamo proprio non accadesse. Il campanello di casa squillò. Senza porre indugio ognuno di noi disse la sua: facciamo finta di dormire, fuggiamo, scappiamo dietro la casa, facciamo finta che non ci sia nessuno. Ma ecco una seconda suonata e questa un po’ più lunga. Dalla macchina erano scesi in quattro e, dalle divise, si notavano alti ufficiali. O farsi il segno della croce e sperare o prendere una decisione.
Senza interporre tempo mio padre e mia madre ci diedero un secco e autorevole ordine: ‘Andate a nascondervi dietro la casa in giardino, e in caso di serio pericolo, fuggite il più lontano possibile, noi diremo che siamo soli’. Non c’era altra scelta; a malincuore obbedimmo dopo aver abbracciato i nostri genitori, fermandoci però nella porta posteriore per poter ascoltare e vedere come sarebbero andate le cose. Mio padre e mia madre accesero la luce esterna e in vestaglia aprirono porta e cancello. Si fece avanti il meno graduato che urlò: ‘Vedo dai campanelli che Camillo Oblach abita qui’. Non c’era dubbio: cercavano proprio noi. Non ricordo quanti pensieri mi giravano in quel momento per la testa; sapevo soltanto di non poter far nulla. Attesi però prima di scappare, un po’ perché incerto sul da farsi e perché non volevo che il sacrificio fosse solo dei miei genitori.
Stringendo ancora forte a me mia sorella sentimmo il sì di mio padre: ‘Sono io’.
‘Il nostro colonnello Hans Hadler cerca il maestro Camillo Oblach che ha sentito essere grande violoncellista, prego fare entrare’.
Ma era un sogno o realtà? Non mi ero reso conto che cosa potessero volere esattamente a quell’ora da mio padre. Certo non poteva essere uno scherzo e nemmeno una trappola in quanto non avevo mai sentito che per prelevare le persone ebree i tedeschi usassero trucchi così sciocchi. Come ci si sente in queste circostanze, anche qui è difficile descriverlo, forse bisognerebbe solo provarlo.
Con le lacrime agli occhi per l’emozione, ci avviciniamo anche noi e vediamo entrare un ufficiale bardato di insegne di tutti i tipi, non più giovane, seguito da altri due ufficiali di grado inferiore e da un graduato che faceva da interprete. ‘Il nostro colonnello non parla la lingua italiana e si scusa per l’ora, ma è qui di passaggio e vuole sentire un po’ di buona musica’.
Solo quando me lo ha potuto raccontare, ho saputo che cosa ha provato mia madre in quel momento. Entrano in quattro tutti graduati, mia madre li fa accomodare offrendo loro una buona bottiglia di vino e ciambella che fortunatamente aveva comprato il pomeriggio stesso, pregandoli di attendere un momento per avere il tempo di potersi rendere presentabile. Entriamo anche noi, e mio padre ci presenta a tutta la compagnia che ci accoglie con un benevolo sorriso. Tutti a sedere mangiano, bevono e fumano con piacere. ‘Il colonnello la prega di suonare una suite di Bach’.
…Passa circa un’ora e il colonnello guarda l’orologio, si alza in piedi e chiaramente soddisfatto fa un lungo discorso in tedesco che subito viene tradotto e riassunto dall’interprete ‘Veniamo dal sud e siamo di passaggio per raggiungere domani il nostro battaglione a Pesaro. Saputo della presenza del concertista che il colonnello ha già sentito suonare in Germania, abbiamo voluto concederci un momento di gioia, cosa non facile in questo periodo. Ringraziamo il maestro Oblach che ci ha accolti e rallegrati con la sua splendida arte e prometto che alla fine di questa terribile guerra non mancherò di venirlo nuovamente a ringraziare, in altra veste, per questo bellissimo regalo: Heil Hitler’.
Molto probabilmente il colonnello Hadler, di cui la famiglia Oblach non avrà più notizie, nonostante ricerche effettuate nel dopoguerra, aveva perduto la vita nel corso di un conflitto da lui non voluto, e del quale sperava in cuor suo una rapida fine, per poter tornare a casa, agli affetti familiari, ed al piacere magari di gustarsi le sublimi suites per violoncello di Bach, che tanto aveva dimostrato di amare!”.