E’ considerato tra i maggiori scrittori italiani. Ha avuto l’onore e la fortuna di essere pubblicato dall’Adelphi, una delle più prestigiose case editrici europee: sia per il rigore dei contenuti, non meno che per la bellezza del libro. Fatti di sobrietà e armonie.
E’ nato nel Borgo di San Giovanni, dall’intreccio di questa terra: il babbo appartenente ad una famiglia di marinai, la madre ad una di contadini. Per quasi un trentennio ha diretto la Biblioteca Gambalunga e dato dignità alla nostra cucina, fatta di ingredienti semplici e senza boria.
[b]Che cosa apprezza di più del nostro territorio?[/b]
“Beh, molte cose. Prima di tutto la varietà del suo paesaggio, che cambia nel giro di pochi chilometri. Il fatto che ci sia il mare, la pianura, la collina. Abbiamo due bellissime vallate, Conca e Marecchia. Anche se nella mia infanzia, fino ai miei 20 anni, la natura era più intatta, rispettata e bella. Al paesaggio fisico, va aggiunto quello storico. Abbiamo testimonianze artistiche anteriori a Roma, con momenti più forti con i Malatesti. E credo che tutto questo giochi anche per il turismo e l’economia.
L’altro aspetto è l’apertura mentale e il rapporto dei riminesi in senso ampio e non lo dico solo nei confronti del turista. Chi viene da fuori presto si sente riminese e questo è un aspetto che mi piace. Il riminese è aperto al nuovo; sa apprezzare le novità ed ha sempre il naso dritto. Se si vuole anche con un eccesso di nuovismo, di fascinazione. Non è una città conservatrice; non nel senso politico, ma del costume e della cultura”.
[b]Quali luoghi le sono cari?[/b]
“Le piazze mi piacciono particolarmente. Da un punto di vista estetico Piazza Cavour; Tre Martiri per la vivibilità, simpatia. L’Italia è un paese di piazze, che sono il cuore delle città. Poi c’è il mare, più d’inverno che d’estate. E il porto con quest’apertura che ti spalanca il mondo davanti, un po’ come il cielo. Senza mare, mi sentirei soffocare. Mi sembra di avere bisogno dell’aria che vi sale, come parte della città che confina con l’ignoto, con la natura, con un orizzonte non sbarrato dalle costruzioni, o da altro”.
[b]Invece, i monumenti?[/b]
“Tenendo conto che non sono lì a competere per i record, il Tempo Malatestiano è uno dei più importanti monumenti d’Europa e del mondo. Il critico Cesare Brandi l’ha definito una delle opere chiare del Rinascimento italiano. Una cosa che mi rincresce è che davanti al monumento più importante ci sono posti sempre occupati dalle automobili; è la nostra Piazza Duomo, la nostra San Pietro. E da questo punto di vista Rimini è una città sbadata. Non sono feticista del monumento, ritengo che parcheggiare di fronte ad alcuni non è dignitoso. E la città che lo permette non è dignitosa”.
[b]Come descriverebbe il carattere di questa provincia?[/b]
“Ha due aspetti. Nel primo, c’è quello al lavoro e la sua importanza in senso lato. Il secondo, è l’edonismo. E le due cose per la mia generazione e le successive sono correlate. Per fare una bella vita ci vogliono i mezzi. E si contiene tutto, anche la cultura; cinema, teatro, concerti, mostre, sport. E’ una comunità di forti consumi: abbigliamento, auto. Abbiamo più Smart che in Germania. Con una quantità eccessiva di fuoristrada e sfrecciano solo in città e non in campagna; ai quali non si richiede la funzione ma lo status. E ci appartiene anche una certa cultura del cibo, del vino e oggi anche dell’olio”.
[b]Che cos’è per lei la cultura?[/b]
“C’è una definizione in senso stretto e più ampia. La prima riguarda una serie di produzioni e espressioni umane nell’arte e nelle idee. Nel secondo senso è il complesso dei valori di una determinata società. Bisogna stare attenti a non confondere i due piani: uno riguarda tutti; l’altro trova un consumo molto diseguale. Da noi, il 50% degli italiani non legge neppure un libro l’anno (il 70 per cento al Sud). Tengo a precisare che il mio non è un giudizio moralista, ma un dato di fatto.
Ritengo però che ad un certo grado di benessere andrebbe sposato con la cultura e dal circondarsi di cose belle. Una città incolta finisce per essere brutta. E una brutta finisce per essere incivile. Insomma, bisogna coltivarsi. Ognuno scelga il proprio campo di interesse, e da questo punto di vista ciascuno è libero. Coltivarsi naturalmente non è un dovere ma un qualcosa che arricchisce profondamente e dà più strumenti. A che cosa serve una poesia di Leopardi? Non viene cambiata in banca; serve per avere una mente più ampia, più sottile, più aperta, meno preda delle mode e meno omologata. E’ una risorsa personale alla quale attingere. E’ un grande conto in banca e non soltanto metaforico: oggi in particolare. L’ampiezza della formazione dei giovani, anche umanistica, serve ai manager; per farlo bene servono le competenze tecniche e umanistiche”.
[b]Perché si è interessato di eno-gastronomia, fino a diventarne un culture e un divulgatore?[/b]
“E’ l’insieme di due cose. Se uno sa la storia dei cibi, dei vini, riesce anche a divertirsi di più a tavola; permettendogli di esercitare di più anche il palato. Diciamo che è un campo dove la competenza paga, con la cultura che ti dà una robusta mano. La nostra cucina non è al livello del Tempio Malatestiano. Siamo stati abituati a un’utenza di massa. Ed è evidente che questo fatto ci ha portato ad organizzare un prodotto di massa e che potesse essere apprezzato da molti ad un prezzo accessibile. Con una qualità decorosa. Abbiamo un’offerta eno-gastronomica affine al livello delle camere di albergo. Abbiamo una buona cucina senza punte, o quasi. E’ figlia della grande povertà della Romagna e come tale non abbiamo una tradizione in cucina. I nostri piatti sono quelli in uso la domenica: i cappelletti a Natale, i passatelli a Pasqua. A questi abbiamo aggiunti i piatti feriali dei marinai: brodetto e rostite, fatte con pesce povero e minuto. E anche il fritto si faceva con lo strutto; l’olio di oliva era un lusso. Per il fatto che vengo da una famiglia di mare e terra ho avuto il privilegio di sperimentare le due cucine. A casa nostra si faceva una buona cucina, anche se estremamente povera. Ma la svolta, nel senso di forte interesse, c’è stata dopo i 20 per la cucina e dopo i 30 per i vini: il gusto si affina con gli anni. So anche cucinare, soprattutto primi e pesce: alleggeriti e curati, con un sistema di sapori vicino al tradizionale. Al familiare. Non mi piace accostare per far colpo. Sul vino, conta bere quello buono che non significa caro ammazzato. L’apertura sul mondo cibo e vino deve essere quella del viaggiatore: mangiare quello che si mangia là, senza i piatti della globalizzazione”.
[b]Quale segno lascia il luogo dove si cresce nel carattere?[/b]
“Il contesto forma: il paesaggio, il clima, le abitudini, i costumi, la cucina agiscono. Alla fine se uno ci pensa vi trova dei tratti comuni. Tutti noi abbiamo amato Federico Fellini, Tonino Guerra, Lello Baldini. Anche se oggi il fenomeno globalizzazione attenua o spegne le identità”.
[b]Di che cosa ha bisogno questo territorio?[/b]
“Prima di tutto di conservare una sua riconoscibilità. Si deve evolvere non in modo sgangherato, aggiornare senza rotture: ha bisogno di non perdere il legame col passato. New York e Berlino hanno mantenuto il rapporto con la propria storia, col proprio modo di essere. Ho l’impressione che il Riminese sia sottoposto ad un mutamento non del tutto positivo. Spero di sbagliarmi. Le mie sono paure che non riguardano solo Rimini. Nel mondo c’è un atteggiamento simile al protagonista della ‘Roba’ di Verga. Non ci si interessa del futuro, delle prossime generazioni; si tende a sfruttare, a consumare, tutto ciò che è possibile. Della serie: roba mia vieni con me con me. Lo spreco, la rapina delle risorse naturali, la devastazione gratuita, sono la vera mancanza di orizzonte; un atteggiamento da titanic. Non rimpiango le ideologie, le certezze, rimpiango piuttosto la mancanza di interesse per gli altri: le future generazioni e verso chi soffre. E non mi pare che qualcuno sia particolarmente determinato a contrastare questa avanzata. Non è moralismo, ma semplice buon senso. Abbiamo genitori che danno tutto ai figli e gli lasciano un mondo brutto. Con Rimini che si impegna con passione”.