– Ieri la ferale notizia, questa notte, sospese le mie abituali letture, mi è corso l’obbligo per queste poche righe nel ricordo e nell’addio al personaggio dell’Anna Filippini, tangibile elemento della cultura letteraria cattolichina.
Sono pregevoli i suoi lavori, i suoi volumi sui: “Sapori e Colori del Nostro Dialetto”, di cui il secondo uscito nel dicembre 2007.
Racchiudono l’amore per la cultura della nostra terra, delle nostre origini, dei nostri antenati cattolichini.
L’Anna era la naturale continuatrice dell’amore per la letteratura dialettale che aveva suo padre Lucio Filippini, detto “Lucio ad Canén” (che io ho conosciuto, compagno ed amico di mio padre), fine dicitore e conoscitore delle poesie in vernacolo dell’indimenticabile poeta ciabattino sanclementese Giustiniano Villa.
Mi sono trovato con suo padre a recitare scambievolmente il Villa, dopo che per suo merito era uscita la prima stesura, curata da Gianni Quondamatteo e Luigi Pasquini, nel dicembre 1962, con i primi 72 componimenti che Lucio aveva ritrovati e raccolti, e che ne era stato sicuramente il grande mecenate.
Mi ricordo che si stupiva che, anch’io come lui, conoscessi a memoria dei brani dell’opera villiana.
Nel dicembre 1971 uscì la seconda edizione, in stampa anastatica, con 141 componimenti e Gianni Quondamatteo, nella sua introduzione all’opera, ricordo bene che la dedicò alla memoria di Lucio Filippini, che nel frattempo ci aveva lasciati.
L’Anna era sicuramente uno squisito spirito di umiltà intellettuale che nutriva un grande amore per la cultura popolare.
Lo scorso 22 maggio siamo stati a Pesaro, Teatro Sperimentale Odoardo Giansanti (poeta dialettale pesarese del tempo del Villa), ove è stato presentato il lavoro di un insigne letterato, il Professor Marcello Martinelli, che è mancato lo scorso anno e che la Banca di Credito Cooperativo di Gradara, con mirabile mecenatismo, ha finanziato la pubblicazione del volume: “Dizionario del Dialetto Pesarese”.
Nel Teatro, nel godere collettivo dell’illustrazione di questo regalo alla cultura in vernacolo, il mio pensiero si è rivolto all’Anna Filippini nel suo sofferente stato fisico che volgeva all’epilogo della vita.
Chissà quanto le sarebbe piaciuto essere stata con noi, quanto il suo amore per queste cose avrebbe potuto trovare appagamento!
Io ero andato a trovarla due volte alla casa di cura ed ero ben conscio del suo stato di salute e della ormai impossibilità che potesse più godere di una amorevole lettura. Gli stessi miei scritti che io le ho lasciato mi sono accorto che non li aveva potuti sfogliare.
Penso quanto le si sia sommata la sofferenza intellettiva a quella fisica.
Ricordo una sua insolita telefonata che mi fece il 13 febbraio scorso. Il pomeriggio di quel giorno io tenevo la terza lezione di Storia locale sulla Cattolica dal fine ‘800, al centro Sociale Vici. Lei era venuta alle due precedenti, del 9 e del 16 gennaio tenute dalla nostra Lucia sulla Cattolica dal ‘500, e con tanto interesse si era seduta in prima fila. Quel giorno invece volle scusarsi con me perché era ammalata e non sarebbe più potuta venire con suo grande rammarico che lasciava trasparire un dispiacere che tendeva addirittura a superare quello della sua malattia.
Quanta tenerezza mi ispirò quella sua telefonata! Quanto amore e quanto rispetto per gli altri, io vi ho scorto.
Lei apparteneva ad una ormai esigua schiera di persone permeate da una gentilezza intellettuale ed amore per il prossimo, di cui ne era e ne è l’esempio la sua famiglia.
E’ una schiera che si estingue e porta con sè i ricordi e le memorie e, quando non ci saremo più nemmeno noi, io e tuo fratello Toni e quelli che, come noi, sono rimasti invecchiando a parlare il nostro dialetto, a ricordarti, Anna, allora resteranno i tuoi scritti, resteranno per dopo, come un cimelio i Colori e Sapori del Nostro Dialetto ed i giovani, di tanto in tanto, sfogliando quei tuoi opuscoli, potranno accarezzare il ricordo di una persona colta e amorevole che è passata nella vita in punta di piedi.