IDEE
di Astorre Mancini
– Nel numero di luglio de “la Piazza” Piergiorgio Morosini ha esposto con grande chiarezza i termini della questione, evidenziando giustamente il valore giuridico ed etico della delibera comunale istitutiva del Registro dei testamenti biologici.
Vorrei completare la riflessione con riferimento alle implicazioni che la vicenda di Eluana Englaro e del testamento biologico ha avuto nella coscienza dei credenti, alimentando un dibattito all’interno della comunità ecclesiale rimasto ai più sconosciuto.
Piergiorgio ha osservato che “il testamento biologico non è in contrasto con la sacralità della vita, ma non la pensano così gli interpreti ufficiali della dottrina morale cattolica”.
Al riguardo va chiarito che la Chiesa non è contraria al testamento biologico in sé, avendo addirittura caldeggiato una soluzione legislativa sulle dichiarazioni di fine vita; il timore della Chiesa è quello che con l’istituzione del testamento biologico passi il principio dell’eutanasia e del diritto del singolo di darsi deliberatamente la morte.
In tal senso, la Chiesa ha precisato che «il diritto che si vuol riconoscere al paziente di orientare i trattamenti a cui potrebbe essere sottoposto, ove divenuto incapace di intendere e di volere, non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto col medico ( […] ) ma esclusivamente il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi e tragici di sostegno vitale, pratiche che il paziente avrebbe il pieno diritto morale e giuridico di rifiutare, ove capace».
Come è noto la questione si complica nella diversa valutazione assegnata alle pratiche di idratazione ed alimentazione forzata, ritenute da alcuni di carattere terapeutico – sanitario (e dunque rifiutabili dal paziente in base al dettato costituzionale), e da altri invece pratiche di sostegno vitale, quindi indisponibili e obbligatorie da parte del medico.
Le posizioni dei credenti all’interno della Chiesa sono comunque variegate e tutt’altro che univoche – malgrado la fermezza di posizione espressa ufficialmente dal Magistero – a tal punto da rendere interessante leggere dentro la coscienza dei credenti per coglierne le sensibilità spesso diverse.
Direi che il tema si polarizza attorno a due diverse concezioni entrambe proprie della coscienza credente: chi ritiene che la libertà di coscienza non consenta comunque una piena autodeterminazione del soggetto, incontrando il limite della assoluta indisponibilità della propria vita, donata da Dio e governata dall’alto; e chi ritiene che la libertà di coscienza, se non vuole tradire sé stessa, comporti il pieno e consapevole esercizio della libertà donata da Dio all’uomo, fino alle estreme possibilità di autodeterminarsi per il proprio fine vita. Ovviamente stiamo parlando della propria vita, non di quella degli altri, sempre e comunque indisponibile.
La prima opzione prende le mosse dal comune sentire cattolico, per il quale siamo custodi e non padroni della nostra vita, che governiamo entro i limiti di un disegno divino che ci è stato riservato, e nella consapevolezza della piena appartenenza ad un Altro della nostra esistenza, atto d’amore oblativo, incondizionato e gratuito; in tal senso la libertà incontra il limite della sacralità della vita donata, e non ci è data fino a consentirci ogni possibile autodeterminazione, bensì entro i limiti di questa alterità, di cui dobbiamo umilmente prendere coscienza.
La seconda opzione parte invece dalla consapevolezza che la libertà donataci da Dio è piena ed incondizionata, essendoci chiesto solo un esercizio consapevole della stessa, mediante il discernimento attento nelle varie situazioni della vita. In tal senso, la deliberazione della libertà sulla propria vita biologica è conforme al volere di Dio, anzi è esattamente ciò che Dio vuole, in quanto il senso di tutta l’esistenza è una continua ripetizione dell’esercizio della libertà consapevole, per cui non c’è nulla di più sacro della libertà umana posta da Dio.
Sottese a tali opzioni ci sono diverse concezioni teologiche della natura e del problema del male, legate ad una visione statica e normativa della realtà ovvero ad una concezione dinamica ed evolutiva della vicenda umana, sulle quali non indugio anche per evitare eccessive semplificazioni.
Certo è che rispetto alla seconda opzione descritta “il testamento biologico esprime allora la libertà dell’uomo sulla sua natura biologica, esprime il fatto che noi siamo bios ma anche qualcosa di più, e che anzi propriamente la nostra essenza spirituale consiste nella vita libera e consapevole” .
Da cattolico ho formulato la mia adesione alla istituzione del testamento biologico, aderendo intimamente al principio per cui non può esserci libertà di coscienza che non sia anche piena ed integrale libertà di autodeterminazione; al contempo credo che nel mio testamento biologico ribadirò un rendimento di grazie per la vita donata, e proprio per questo – in caso di necessità del sondino nasogastrico – chiederò di lasciarmi attaccato alla macchina perché, come è stato osservato, “anche il filo di erba – con la sua vita puramente vegetativa – rende lode al Signore”.
Sono anche dell’idea che lo stesso Papa Giovanni Paolo II abbia in qualche modo disposto di sé nel suo fine vita (con il famoso “lasciatemi andare” pronunciato prima di entrare in coma il giorno prima di morire, in un contesto in cui ogni tecnica terapeutica non avrebbe migliorato il suo stato di salute ma solo conservato quel poco di vita).
Come appartenente alla Chiesa, credo infine che quella stessa libertà della coscienza che la Chiesa ha accettato in ordine al rapporto del singolo con la verità di Dio e con la società, deve essere accolta nel pensare il rapporto del singolo con la propria biologia, ed estesa anche alla deliberazione degli uomini sulla propria vita naturale mediante il principio di autodeterminazione; si tratta solo di estendere alla natura lo stesso principio di laicità applicato alla storia; resto dunque fiduciosamente in attesa dal Magistero di “nuove analisi e nuove sintesi” (Gaudium et Spes, 5) che affrontino e risolvano la “congerie di problemi” (Gaudium et Spes, cit.) che già il Concilio vedeva all’orizzonte.
L’ITER BUROCRATICO
L’iter burocratico del testamento biologico. Nel marzo scorso il Consiglio comunale ha votato a maggioranza la mozione d’indirizzo presentata dal Gruppo Arcobaleno. Il 28 luglio il Consiglio, sempre a maggioranza, ha votato il regolamento dell’istituzione del registro comunale. Adesso la giunta deve solo indicare l’ufficio preposto alla tenuta del registro.