SANITA’
di Francesco Toti
– Sette bambini colpiti dal tumore da gennaio ad oggi. Ogni anno sono una decina i baby della provincia di Rimini e dintorni, dallo zero ai 14 anni, aggrediti dall’intruso. Senza apparenti ragioni, forse i geni, forse l’inquinamento, forse quello che si mangia e si beve. Se ne salvano circa il 75 per cento, a seguire le statistiche. La pediatria oncologica dell’ospedale di Rimini una delle eccellenze del sistema sanitario locale. Lo dirige, dal ’99, Vico Vecchi, cattolichino. Il professore ti riporta a Guido Paolucci, anch’egli cattolichino, per anni direttore della clinica di oncologia pediatrica universitaria del Sant’Orsola, Bologna. Vico Vecchi di Paolucci è stato un allievo, gli è stato accanto per un trentennio. All’amico che gli chiese come mai non si facesse pagare le visite, Paolucci, scomparso in un torrido luglio del 2007, rispose: “Non posso prendere i soldi da un bambino ammalato”.
A Rimini, scala D, primo piano, nello studio di Vecchi, su un ripiano, c’è la fotografia di un bambino che ha superato gli insidiosi ostacoli del destino grazie alla “guarigione immeritata”. A chi gli chiede cos’è, risponde Vecchi: “Il piccolo è venuto qui che aveva sei mesi. Secondo il protocollo aveva possibilità di farcela quasi pari allo zero. Sottoposto al suo percorso, ce l’ha fatta. Ora ha quattro anni. Sono i famosi e rari miracoli che esistono nell’oncologia pediatrica. Nella mia vita di medico ne ho visti soltanto tre; due a Bologna ed uno a Rimini”.
Sessantatre anni, sposato, due figli già grandi, Vecchi coordina uno staff di 12 medici, 37 infermieri e 6 operatori socio-sanitari. Rimini insieme a Parma, Modena, Ferrara e Bologna è uno dei cinque centri di oncologia pediatrica dell’Emilia Romagna. Nel 2008, il centro riminese ha ricevuto la certificazione dal Comitato tecnico-scientifico dell’Aiop (Associazione italiana di oncologia pediatrica), che organizza la ricerca clinica ed oncologica in Italia.
Fa parte di una rete di 56 centri di oncologia pediatrica che segue il protocollo stabilito dal professor Paolucci. La logica è di curare i piccoli pazienti il più possibile vicino a casa, dando loro le stesse cure poiché il protocollo è lo stesso. In soldoni, significa che curarsi a Rimini, è come curarsi altrove.
“Il nostro approccio terapeutico – continua Vecchi – è multi-disciplinare. A Rimini abbiamo tutto ed a livelli assoluti: la chirurgia, la chemio e la radio terapia”. Ma perché un bambino, un adulto vengono colpiti dai tumori? Vecchi: “Le cause non sono note; ci sono fattori genetici, ambientali, come l’inquinamento, i campi elettromagnetici, gli idrocarburi”.
L’assistenza che si offre a Rimini è globale ed ha un ruolo centrale anche la forze della mente: lo psicologo, l’alleanza con i genitori, i dottor clown (un gruppo di trenta volontari che portano un sorriso tre volte la settimana). Quando incrociano Vecchi, si fermano, si mettono sull’attenti e gli porgono una manciata di caramelle, o lecca lecca. Curano anche la sensibilità dei familiari; ad esempio c’è la sindrome da abbandono dei fratelli sani.
Le terapie alle quali vengono sottoposti i bambini durano da alcuni mesi fino ad un massimo di paio d’anni. Coloro i quali sono colpiti dalle leucemie si salvavo al 75%; con i cosiddetti tumori solidi due sue tre. Quando negli anni Sessanta il professor Paolucci partì con il suo lavoro pionieristico, ce la facevano soltanto il 25%. Il reparto oncologico riminese si presenta come gioioso appartamento: tre camere (sei posti letto, fino ad un massimo di nove), un piccolo soggiorno, la cucina. L’ambientazione è colorata e allegra e a bassa carica micropica; l’aria esce e non entra quando vengono aperte le porte. L’arredo è un regalo del Lions Club Rimini Malatesta.
Molto cattolichino, “vado in vacanza tre settimane in un villaggio che si chiama Cattolica”, diceva ad un amico al telefono, Vecchi è diventato medico per puro caso ed è diventato oncologo pediatrico per un altro caso. Voleva fare l’ingegnere da ragazzo, ma lo rimandano in matematica. Ha uno zio frate-medico, Norberto Bucci, che per lui e la famiglia è un mito; aveva aperto un ospedale in India, ai piedi dell’Himalaya. Ricorda: “Tornava ogni cinque anni; di lui mi affascinava tutto. Mi spinse verso la medicina”. L’altro passaggio è dovuto al professor Paolucci. Vecchi voleva fare il chirurgo pediatrico. Del suo lavoro afferma: “Passi dalle gioie all’amarezza; il sorriso è sempre monco. Alla fine è una lotta, è un’alleanza terapeutica. E c’è anche un atteggiamento professionale un po’ perverso; nel senso che ti esalti perché devi curare un essere umano”.
Due le grandi passioni: il tennis e la barca con la quale uscire a pescare. Ha vinto per due volte il goliardico e blasonato torneo “Caviale & champagne” al Circolo Cerri di Cattolica e nel 2009 e 2010 il campionato provinciale per medici.