SGUARDI D’ARTISTA
di Annamaria Bernucci*
– Vincenzo Cecchini, l’inseparabile berretto calato sulla fronte, lo sguardo acuto e visionario capace di svelare il lato oscuro e solare dell’esistenza, la battuta pronta, icastica, sferzante, che sazia il ricordo e la nostalgia ma che sa spalancarsi alla ironia e alla leggerezza, è pronto nuovamente a raccontarsi e a mettersi in gioco.
A settantasette anni non si nega una vitalità intellettuale di indiscussa originalità, ingombrante e sfrontato come solo i grandi poeti (e gli artisti) riescono ad essere.
Pronto ai cambiamenti di rotta nella pittura e nell’arte, che pratica, si può dire, da oltre cinquant’anni, oggi Cecchini si misura con una nuova stagione.
Sul tavolo del suo studio alcuni cataloghi di mostre nazionali dove è stato protagonista. Tra gli ultimi volumi: Pensare pittura, a cura di Franco Sborgi e Sandra Solimano, 2009, Pittura Analitica a cura di Marco Meneguzzo, 2008, Pittura aniconica di Claudio Cerritelli, 2007. Il suo nome rimbalza nei circuiti critici di rilievo, basta sfogliare i cataloghi per rendersi conto dell’eccezionale curriculum professionale: tra i pochissimi in Romagna ad entrare in quella linea internazionale della ricerca pittorica che, tra Anni Sessanta e Settanta, riporta il dibattito artistico sul territorio del linguaggio e del lavoro del pittore, reagendo con contenuti lucidi e propositivi alla smaterializzazione perpetrata dall’arte Concettuale.
Nato nel 1934, Cecchini ha maturato le sue maggiori esperienze artistiche fuori dalla regione; giovanissimo si trasferì a Roma dove frequenta il Gruppo ’63 formato da intellettuali e poeti; condivise poi le principali correnti astratte a Milano con i pittori Novelli e Dorazio a partire dagli anni ’60. Una esistenza ‘spericolata’ all’insegna dell’imprevedibilità: “imbrogliare la dura vita” scriveva il poeta santarcangiolese Tonino Guerra e Cecchini ce l’ha messa tutta.
Sono passati dieci anni dall’uscita di Nè mortale né immortale, edito dal Ponte Vecchio, la confessione intervista a più voci curata con acuta sensibilità da Patrizia Mascarucci nella quale Cecchini svelava quanto l’arte sia stata il fine e il filo conduttore della sua esistenza, in un intreccio indissolubile con gli affetti personali e le stravanganze e l’ardore del suo indomabile carattere.
Cecchini considera la pittura come una enunciazione vitale. Lo dimostra la sua biografia dai connotati così determinati, un concentrato di passioni, sospese tra una insopprimibile domanda interiore e la capacità di esternare il suo fare artistico, ricco di implicazioni operative e poetiche, di scosse e vertici. Come le sue poesie in dialetto, lampeggianti, gravide di sapori e visioni, come solo la propria lingua madre gli può consentire.
Il suo studio-abitazione è nel cuore di Cattolica, paese che torna insistente, sfondo e tema, come già nella sua pittura degli esordi, di un nuovo ciclo pittorico che Cecchini andrà a presentare in una mostra nei prossimi mesi. Le tele deflagrano di colori, campiture a la plat, arabescate e sinuose le linee. Diverse dalle poesie dipinte, distanti dai monocromi fondati sul trasalire dei pigmenti, su quelle particelle di energia cromatica già presenti nelle ricerche degli anni Ottanta sulla cui intuizione Cecchini a continuato a dipingere.
Racconta come è nato il nuovo ciclo. “Tutto è cominciato dall’esperienza didattica de La ragione, il grido, il sogno e del libro del 2007 edito dalla BCC di Gradara, un laboratorio per bambini divenuto per decine di classi della scuola dell’obbligo nuovo strumento di lettura delle opere d’arte”.
Da quel contesto ha maturato una nuova ‘scrittura’ pittorica, dai quei cinque anni di lavoro al Laboratorio per l’educazione all’immagine, condiviso con la sensibile professionalità di Valeria Belemmi che lo ha affiancato nell’impresa, ha tratto ispirazione.
Nel 2010 – racconta – nasce un nuovo libro coloratissimo e a fumetti intitolato Una strana lezione che traduce la sua esperienza di docente. Ma quell’approccio al disegno, dopo gli anni di coerente adesione all’aniconicità, all’astrazione, al colore-luce, deve avergli preso la mano e i pensieri.
La scorrevolezza di segno e di invenzione del racconto a fumetti si dilata; da allora non l’ha più abbandonato. Una sterzata grafico-pittorica assolutamente inedita. Come è nella imprevedibile natura dell’artista. E poiché non ama scivolare ‘drent t’un bus nir’, così nell’arte come nella vita, Cecchini continua a puntare tutto sull’ “azzardo della pittura”.
*Direttrice della Galleria comunale S. Croce di Cattolica