– Come far crescere il debito pubblico e rendere più lenta la giustizia.
«Nano di Venezia, non romperci i coglioni». Così si è espresso un ministro della Repubblica (Bossi) nei confronti di un altro ministro (Brunetta), colpevole di avere, durante una riunione del Consiglio dei ministri, proposto di modificare la manovra bis del governo Berlusconi-Tremonti toccando le pensioni. Pochi giorni prima il ministro Tremonti aveva dato del «cretino» allo stesso Brunetta durante una conferenza stampa. Chi di spada ferisce, di spada perisce, perché Brunetta si era specializzato nel definire «cretini» i giovani disoccupati che lo contestano. Questo è il clima civile regnante tra i collaboratori del presidente Berlusconi. In quale altro governo dell’ Occidente cose simili sono immaginabili?
Delle discussioni sulla manovra bis sono piene le pagine dei giornali italiani. Parlano di una coperta troppo corta: chi la tira di qua, chi la tira di là. Mentre scriviamo, tiene la scena lo scontro tra Bossi, difensore delle pensioni così come sono, e Berlusconi, che vorrebbe ritoccarle. Il fatto è che il suo impero è in piena crisi, con i sondaggi che lo dànno al 22%. Lo conferma il fatto che per la prima volta si sono permessi di criticare Berlusconi vari suoi parlamentari. Non era mai accaduto.
Quella manovra-bis è stata imposta all’ Italia dalla Banca Centrale Europea, che ha salvato il debito pubblico italiano, lasciato colpevolmente aumentare dai governi Berlusconi senza accompagnarlo con la necessaria crescita economica. La speculazione internazionale ha minacciato molti paesi, ma è stata esiziale con quelli, come l’ Italia, più vulnerabili. Berlusconi ha dovuto ammettere la necessità, nella quale si è trovato, di mettere le mani nelle tasche degli italiani. L’ aveva sempre fatto, comprimendo i bilanci dei Comuni, ma questa volta tutti hanno visto le sue mani sporche di marmellata. Tuttavia, ancora una volta, non ha toccato gli evasori. Vuol far pagare più tasse a coloro che le hanno sempre pagate. Ha respinto la sacrosanta proposta di PD e Italia dei Valori, intesa a tassare gli evasori che avevano fatto rientrare i loro capitali, illegalmente esportati, pagando il solo 5%, e non il 20-30% degli altri paesi europei.
Ma ad altro Berlusconi aveva pensato, ossia alle cose che più gli stanno a cuore: i processi nei quali egli è coinvolto. Per questo aveva curato con particolare zelo l’ approvazione (28 luglio) da parte del Senato del cosiddetto «processo lungo», l’ ultima trovata dei suoi avvocati. I suoi servi, che dispongono al Senato di un’ampia maggioranza, non si sono peritati di approvare un disegno di legge che rischia di rendere ancora più lenta la giustizia italiana, già ripetutamente multata dall’ Europa a causa della sua lentezza.
Non si era detto da tutti che il difetto maggiore dei processi italiani consiste nella loro lunghezza? Ecco il rimedio escogitato da Berlusconi: ren- derli ancora più lunghi.
In quale modo? Semplicissimo: nel costringere i giudici ad accogliere tutte le testimonianze invocate dagli avvocati. Fino a ieri i giudici potevano decidere quali testimonianze accettare, quali respingere come inutili, e procedere in tempi ragionevoli. Erano essi, i padroni del processo, come è giusto che sia. Ora non più, ora i padroni del processo diventeranno gli avvocati. Ora costoro possono imporre ai giudici l’ ascolto di tutti i testimoni possibili ed immaginabili.
A che scopo? Ma è semplicissimo: allo scopo di citare centinaia di testimonianze e rendere il processo tanto lungo da attendere il giorno della prescrizione, ossia il giorno della sua estinzione. Non è chi non veda quale vantaggio ne ricaveranno gli imputati dei più diversi reati, e quale danno ricadrà sulle spalle delle vittime. Per cavarsela, basterà agli imputati avere soldi a sufficienza per compensare avvocati compiacenti e disponibili, pronti a citare centinaia di testimonianze.
E’ in questo modo che Berlusconi pensa di salvarsi dai suoi processi. Resta la speranza che il capo dello Stato voglia bloccare un provvedimento vergognoso come questo.
A tutto questo si aggiunga la fine ormai prossima di Gheddafi. Torna in mente a tutti il Berlusconi che poco più di un anno fa, il 27 marzo 2010, corse a Sirte al vertice della Lega araba per baciare le mani a Gheddafi, benché le sue carceri fossero piene di oppositori condannati a decine di anni di reclusione. L’ amicizia con Gheddafi ha pesato sulla politica estera italiana, a lungo incerta sul da farsi in presenza della rivoluzione libica primaverile, poi ritardata dal non voler disturbare Gheddafi con una telefonata da Palazzo Chigi, e infine risoltasi con la partecipazione degli aerei italiani con divieto di sganciare bombe. Se la Francia sfrutterà meglio dell’ Italia i buoni rapporti con i nuovi governanti di Tripoli, anche questo andrà messo sul conto di Berlusconi.
di Alessandro Roveri
Libero docente all’Università di Roma