LA TEOLOGIA DEL RAGIONIERE – 7
di Gianfranco Vanzini
– Settimo: non rubare. E’ una frase molto usata, è quasi entrata nel comune parlare della gente. Molti ne conoscono la provenienza, ma qualcuno, probabilmente fra i più giovani, neppure sa che corrisponde al settimo comandamento di quel Decalogo che stiamo analizzando.
Come sempre, con definizioni molto nette, Nostro Signore ci dà indicazioni chiare e precise.
Cosa vuole dire questa volta? Essenzialmente due cose. In primo luogo proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo, cioè degli altri. Conseguentemente, definisce la legittimità della proprietà privata dei beni materiali.
Se io non devo e non posso appropriarmi dei beni del mio prossimo, significa che lui ha il diritto di tenerli e di conservarli ed io devo rispettare questo suo diritto. Parallelamente significa anche che, se il bene è mio, gli altri devono rispettare questo mio diritto.
Il problema si pone, ma è di facile soluzione, quando andiamo a vedere a che titolo io possiedo il bene. Come me lo sono procurato? Se l’ho conquistato con il mio lavoro, o se mi è stato liberamente e legittimamente donato, non ci sono problemi né eccezioni; se invece ho fatto violenza a qualcuno oppure ho leso i diritti del mio prossimo allora la cosa cambia radicalmente. E la proprietà diventa illegittima.
Il concetto di proprietà privata, tuttavia va visto e inserito nel più vasto contesto della “destinazione universale dei beni” che occorre avere sempre presente.
Per chiarire il concetto, mi sembra utile riportare quello che il Catechismo della Chiesa Cattolica dice in proposito ai punti 2402 e segg.: “ Dall’inizio, Dio ha affidato la terra e le sue risorse alla gestione comune dell’umanità. Affinchè se ne prendesse cura, la dominasse con il suo lavoro e ne godesse i frutti. I beni della creazione sono destinati a tutto il genere umano. Tuttavia la terra è suddivisa tra gli uomini, perché sia garantita la sicurezza della loro vita. …….la sicurezza delle persone …….il soddisfacimento dei bisogni fondamentali propri e delle persone di cui si ha responsabilità
L’uomo, usando dei beni creati, deve considerare le cose che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri. La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della Provvidenza, per farlo fruttificare e spartirne i frutti con gli altri.
L’autorità politica ha il diritto e il dovere di regolare il legittimo esercizio del diritto di proprietà in funzione del bene comune.”
Questo richiamo all’autorità politica mi dà lo spunto per le ultime due considerazioni.
La prima riguarda uno slogan abbastanza diffuso in passato da una certa parte politica: “La proprietà privata è un furto”. Abbiamo appena visto che non è assolutamente vero.
La proprietà privata, se legittimamente procurata e detenuta, è un diritto sacrosanto e come tale va tutelato e regolamentato.Una osservazione, però, è d’obbligo. E’ Dio che ci ha donato tutti i beni di cui possiamo disporre, li ha donati a tutti, perché tutti potessimo usufruirne. Tutti, allora, abbiamo il diritto-dovere di avere sempre presente la destinazione universale dei beni del creato ( come ci ricorda costantemente la Chiesa) e il migliore uso della nostra libertà consiste nell’ amministrarli con amore e attenzione anche verso le necessità degli altri uomini, nostri fratelli.
La seconda considerazione riguarda il dovere per i cittadini di obbedire alle giuste leggi che l’autorità civile emana per soddisfare e organizzare i diritti e i bisogni collettivi.
Prima, fra queste leggi da rispettare, quella che impone di pagare le imposte.
Non pagare le imposte è un furto? Sì!
E’ una mancanza grave verso la comunità intera, è un privare le pubbliche autorità di quei mezzi necessari per il buon funzionamento della pubblica amministrazione che ha importanti compiti da svolgere e che non può operare senza risorse.
I pubblici poteri hanno quindi il legittimo diritto di imporre imposte. Gesù stesso lo ha riconosciuto quando ha detto: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
Dicendo questo ha riconosciuto a Cesare il diritto di chiedere un tributo, ma gli ha anche imposto di determinare bene quello che è suo, rispetto a quello che è di Dio o dei singoli individui. Una autorità pubblica prepotente, vessatoria, corrotta perde la sua legittima autorità e diventa dannosa per l’intera comunità.
Conclusione: come sarebbe bello se ognuno rispettasse i diritti e le cose degli altri, le autorità fossero oneste e corrette, i cittadini rispettosi delle giuste leggi!
Sembra la conclusione di una bella favola, invece non è altro che il risultato dell’applicazione quotidiana delle istruzioni che Dio ci ha dato e che rende la vita bella… qui… oggi.