LA RIFLESSIONE
di Silvio Di Diovanni
– Don Ernesto Buonaiuti (Roma 25 giugno 1881 – 20 aprile 1946), storico, antifascista e antinazista, docente di Storia del Cristianesimo alla Sapienza di Roma, fu la mente più eccelsa del “modernismo” italiano, quale movimento di riforma del Cattolicesimo e grande anticipatore, di alcuni decenni, di quello che sarà il Concilio Vaticano II (poi affossato).
Fu energicamente contrastato e condannato con i peggiori metodi a disposizione dei papi Pio X, Pio XI e Pio XII. Fu fatto morire in miseria, ammalato, senza sostegno finanziario, perseguitato dal Vaticano con la più pesante ed infame delle scomuniche (vitando), che imponeva al cattolico l’obbligo di non avvicinarlo. E dire che fu uno storico eccezionale, con una immensa produzione di opere.
Per l’azione diretta di Pio XII e la pressione su De Gasperi, gli fu impedito di riavere la cattedra universitaria, dopo la liberazione di Roma nel ’44, cattedra che aveva perduto per non aver giurato la fedeltà al fascismo nel ’31.
Con un enorme accanimento la Chiesa di Roma volle stroncarlo con una persecuzione senza uguali, che cominciò alla sua età di 25 anni e si prolungò per tutta la sua vita.
Gli alti prelati lo accusarono attraverso il “Sant’Uffizio”, lo attaccarono attraverso “l’Osservatore Romano” e altrettanto fecero con “Civiltà Cattolica” fino a giungere a studiare, nel triste Concordato del 1929 tra il Vaticano e Mussolini, due articoli appositamente pensati ed attuati, contro la persona di questo sacerdote colpevole di lungimiranza e di nuove vedute.
La persecuzione durò infatti dal 1907 fino alla sua morte, in miseria, nella Roma del 1946. Purtroppo nemmeno il papa buono, “Roncalli”, coetaneo e compagno di studi, che sicuramente era a perfetta conoscenza del caso, non trovò il tempo, nel suo pontificato, di rendere giustizia a questo grande uomo di fede, di intelligenza e preveggenza.
Don Bassi
Don Ugo Bassi (Cento di Ferrara 12 agosto 1801 – Bologna 8 agosto 1849). Uomo di fede, la cui vita rientra in quella dei meravigliosi patrioti di quel “Risorgimento” di cui in questo 2011 ricorrono i 150° anni dell’Unità di questa nostra Patria, è stato don Ugo Bassi. Frate barnabita, eroe e patriota del Risorgimento italiano, ordinato sacerdote a 24 anni, fu grande ispiratore di idee liberali e progressiste e le sue commoventi prediche, della durata di almeno due ore, coinvolgevano le folle, nelle più importanti cattedrali, specialmente a Bologna, finchè le gerarchie ecclesiastiche insospettite gli proibirono di predicare e lo espulsero dagli Stati Pontifici.
Lui riparò prima a Napoli, poi in Sicilia. Con l’avvento di Pio IX al soglio pontificio nel 1846, si illuse come tanti altri italiani e giovani patrioti e ritornò a Bologna, coinvolto dalle aperture liberali del nuovo Pontefice. Riprese le sue prediche in Emilia e nel Piemonte.
Nel marzo del 1848 allo scoppio della prima guerra d’indipendenza, quando le armate piemontesi varcarono il Ticino contro l’Austria, Ugo si unisce, come cappellano militare, ai volontari al comando del mitico Generale Giovanni Durando che per le sue idee aperte e liberali, anni prima si era dovuto dimettere da ufficiale presso l’esercito piemontese ed ora combatteva contro gli austriaci al comando del piccolo esercito pontificio. Dopo il voltafaccia di Pio IX, il Durando ritornerà nell’esercito piemontese.
Don Ugo ferito in guerra a Treviso il 12 maggio di quel 1848 sarà trasportato e curato a Venezia ed appena guarito ritornerà sul fronte di battaglia per la difesa della Repubblica di S. Marco a Venezia nel 1848 – 49, alternando coinvolgenti discorsi patriottici, alle azioni di assalti nelle trincee.
Dopo la sconfitta delle truppe piemontesi si reca a Roma dove conosce Garibaldi e prende parte alla difesa della Repubblica Romana del 1849 dopo essere stato nominato Cappellano Militare.
Don Ugo fu conquistato dallo spirito dei garibaldini i quali furono a loro volta conquistati dalla personalità di questo prete che divideva con loro tutta la giornata, incurante di sè, incurante del continuo pericolo in battaglia, cui lui, con loro partecipava per rincuorare, per curare.
Operava poi con fervore, dopo le battaglie, nell’ospedale per la cura dei feriti, senza posa.
Dopo la battaglia del pomeriggio del 30 aprile, fuori le mura di Roma, dove Garibaldi sbaragliò l’esercito francese del Generale Oudinot, in quella occasione Don Ugo Bassi fu ferito e fatto prigioniero dai francesi mentre nel campo assisteva un ufficiale francese moribondo.
Don Ugo era una persona il cui amore e la cui fede incrollabile di patriota non gli faceva dimenticare di essere un uomo, prima che un combattente per la sua patria.
Oudinot, dopo la disfatta mandò un suo ufficiale, con la bandiera bianca, a chiedere a Garibaldi una tregua d’armi, portando con sè, come buon gesto un prigioniero italiano ferito. Era Don Ugo Bassi.
Caduta la Repubblica Romana, fu al seguito di Garibaldi con la fuoriuscita da Roma e la fuga lungo l’Italia Centrale, poi a San Marino, poi sulla costa oltre Rimini alla ricerca di imbarcazioni per raggiungere Venezia, braccati dagli austriaci.
Alla sera del 1° agosto i garibaldini giunsero a Cesenatico ed ivi Anita Garibaldi sfiancata dalla fuga, dalla fame, dalle privazioni, dalla vita impervia e dall’avanzato stato di gravidanza, morì tra le braccia del marito con la amorevole presenza di alcuni compagni tra cui Ugo Bassi e Giovanni Livraghi. Verso Comacchio era pieno di soldati austriaci e per precauzione si divisero, Garibaldi riuscì con altri a sfuggire per mare alla cattura. Bassi e Livraghi furono catturati e il giorno 7 agosto portati a Bologna, ove senza processo, neppure sommario, su istanza del capitano Carl Picheler von Deeben e del Governatore Gorzkowski di Bologna, furono fucilati il giorno dopo 8 agosto, proprio nel giorno del primo anniversario in cui Bologna aveva cacciato gli austriaci con le armi in pugno alla Montagnola.
Ugo Bassi protestò che non erano armati, non erano rei, lui aveva assistito soldati morenti sul campo e non aveva mai negato il suo soccorso a nessuno, nemmeno a feriti nemici ma quel governatore voleva ammonire la popolazione con un classico “esempio” cioè che la gente non doveva far nulla in favore del “bandito Garibaldi”.
La città felsinea ha dato il nome di Ugo Bassi al tratto centrale della Via Emilia al centro di Bologna.
Non mi sovviene quale ricordo alla memoria di questo grande italiano, abbia esternato la Chiesa. Spero sia una mia lacuna, se è così, gradirei che qualcuno me la colmasse.