L’INCHIESTA
di Francesco Toti
– Storie di conventi (benedettini) e di agricoltura quelle delle fiere millenarie che sono riuscite a resistere alla strana forza del tempo. Il 5 marzo apre le danze San Gregorio a Morciano di Romagna (denominazione aggiunta dopo l’Unirtà d’Italia come si legge a pagina 31 del nostro giornale) la più importante della provincia di Rimini. In quei 10 giorni (fino al 13 marzo) dovrebbero raggiungere circa 100.000 persone la Piccola Torino (per via dei marciapiedi larghi 4 metri e la precisione delle strade ortogonali). Ne fu urbanista Diomede Forlani agli inizi del ‘900, che era stato a fare esperienza a Torino.
La seconda fierona del territorio è quella di Santarcangelo (novembre) e si chiude in Valconca, a San Giovanni in Marignano con Santa Lucia. Era (e lo è ancora) un classico accendere un cero alla santa siciliana, culto portato a San Giovanni dai frati ravennati che avevano possedimenti sia in Romagna, sia in Sicilia.
Ma per quali ragioni con la “scomparsa” della civiltà agricola soltanto queste tre appuntamenti sono riusciti a resistere?
Lo chiediamo a tre belle teste del territorio: Enrico Santini (agricoltore di qualità in Coriano, è stato anche presidente della Confagricoltura provinciale), Angelo Chiaretti (mondainese, cultore di storia locale) e Alessandro Agnoletti ( docente di Teoria e tecnica della promozione territoriale all’Università di Urbino?.
Enrico Santini
Santini: “Nel nostro animo, nel nostro dna, nel modo di stare insieme si sono depositati i valori del mondo agricolo. Per queste ragioni, queste fiere, nonostante la tecnologia, nonostante le televisioni, nonostante internet, reggono con rinnovato successo. Sono frequentate da tutti, senza distinzione di età e censo. Per uno di Coriano, la fiera per antonomasia è San Gregorio. Quando ero ragazzo si raggiungeva a piedi, partendo alle 4 del mattino, per la strada che era quella che ti portava a Roma, lungo la quale si trovavano le cellette con le Madonne, i santi. Nel nostro immaginario Morciano era il centro dei commerci dell’agricoltura che sa diventare anche industria, che ha un raffinato circolo cittadino, un teatro di rango. Una piccola Milano. E poi rappresentava la primavera che arrivava. Certo era soprattutto lo scambio dei buoi, delle sementi”.
Alessandro Sistri
Alessandro Sistri, abita nel borgo di Montefiore, conosce il Riminese (inteso come territorio provinciale) come pochi. “Le tre fiere – argomenta – sono sopravvissute perché si collocano in un ambito territoriale di snodo tra la costa e la collina, da sempre a forte vocazione commerciale. Morciano ha preso il sopravvento col tempo. Se Morciano è il centro della Valconca, Santarcangelo lo è della Valmarecchia. Nonostante che le vie della storia siano infinite sono riuscite, le fiere, a rilanciarsi rispetto ai cambiamenti economici e sociali. Non proprio facile. Ad esempio, non ce l’ha fatta Montescudo. A vedere le foto dei primi del ‘900, con la collina ricoperta dai buoi, fa impressione e denota l’importanza di quel mercato, di quel paese”.
“Inoltre – continua Sistri -, fiere di queste dimensioni hanno anche bisogno di spazi e riferimenti. In coincidenza con le feste laico-religiose gli uomini facevano cadere il cambio di stagione: primavera, autunno, inverno. Questo è stato riconosciuto a livelli di studi etnografici.
Invece, a San Giovanni, con Santa Lucia, c’è stata un’operazione di recupero culturale e di identità. Si colloca in una fase già matura dell’inverno, 13 dicembre, l’amministrazione comunale ha lavorato e speso energie per non farla morire. E direi che ci è anche riuscita. Diciamo, che rappresenta bene la forza economica raggiunta da San Giovanni negli ultimi due decenni. Di certo è diventata una delle città più dinamiche della provincia di Rimini. Con il centro storico recuperato non così ma attraverso un pensiero forte. In questo alveo si colloca anche il rilancio di Santa Lucia”.
Angelo Chiaretti
Angelo Chiaretti e la Valconca come bellissimo orto di casa. “La svolta avviene negli anni ’60. Le fiere di bestiame dei piccoli paesi chiudono. A Mondaino, in settembre, c’era quella di San Michele, a Montefiore, aprile, quella di San Pietro. La stranezza è che Saludecio, una delle massime espressioni economiche della Valconca nell’800 non avesse una sua fiera del bestiame. Non è un caso che le cittadine vicine chiamavano i saludecesi ‘i vagabondi’; vi abitavano i proprietari terrieri di mezza Valconca, dalla collina fino al mare. Morciano con san Gregorio ha saputo cambiar pelle: dal bestiame ai trattori, dalle sementi alle piante da giardino, fino all’eno-gastronomia. Un tempo era anche un appuntamento amoroso, da vestiti nuovi, di incontri”.
“Santarcangelo – riflette Chiaretti – è zona di fondovalle privilegiato, con un dato folcloristico antico con la tradizione dei ‘becchi’, che risalgono ai tempi dei galli e dei celti. Poi quella data, l’11 novembre, coincideva con la fine della semina autunnale; a suo modo un capodanno agricolo.
Santa Lucia, a San Giovanni, invece si è mantenuta per il rotto della cuffia. Grazie al valore della santa e agli investimenti del Comune degli ultimi 10 anni. E’ anche il segnale che si sta spostando sempre più a valle il fulcro economico”.
Santini.Nel nostro animo, nel nostro dna, nel modo di stare insieme si sono depositat i valori del mondo agricolo. Per queste ragioni, queste fiere, nonostante la tecnologia, nonostante le televisioni, nonostante internet, reggono.
Angelo Chiaretti. La svolta avviene negli anni ’60. Le fiere di bestiame dei piccoli paesi chiudono. Morciano con san Gregorio ha saputo cambiar pelle: dal bestiame ai trattori, dalle sementi alle piante
da giardino, fino all’eno-gastronomia.
Sistri: “Invece, a San Giovanni, con Santa Lucia, c’è stata un’operazione di recupero culturale e di identità. Si colloca in una fase già matura dell’inverno, 13 dicembre, l’amministrazione comunale ha lavorato e speso energie per non farla morire. E direi che ci è anche riuscita”.
Meldini, bel momento di aggregazione
Già direttore della biblioteca Gambalunga, è tra i maggiori scrittori italiani
L’INTERVISTA
– “Non darei loro una svolta culturale. Sono belle occasioni in cui ritrovarsi”. Piero Meldini è tra i massimi scrittori italiani. Già direttore della biblioteca Gambalunga, è un appassionato cultore delle tradizioni e del costume della provincia di Rimini.
Argomenta: “Gli appuntamenti che sono rimasti hanno avuto la forza di modificarsi. Da fiere e mercati dedicati a particolari cose, si sono trasformate in occasioni di feste. Hanno perso le vecchie ragioni sociali, per acquisirne altre. Santarcangelo da vendita e scambio del bestiame è diventata una fiera gastronomica. E si sono mescolate due cose: la fiera e la tradizione del ‘cornuto’, i becchi, che Baldini la faceva risalire ad un’epoca pre-cristiana. Un relitto atavico, ritualistico. Il ‘becco’ in realtà sarebbe stato in origine uno studio per altre realtà portato nelle nostre zone. Il cornuto non era altro che il debole del clan cacciato in particolari occasioni. E su questo ad onor del vero non ci sono prove inconfutabili”.
“Dato però che queste fiere popolari resistono – continua nella sua riflessione Meldini – sono occasioni belle in cui ritrovarsi. Non cercherei loro di dare una svolta culturale; ci sono tante occasioni per fare cultura, questa è semplicemente un occasione di festa. E non vanno neppure guardate con snobismo; le gente passa un sacco di tempo o davanti allo schermo di un televisore o a quello di un computer. E le vecchie fiere sono un piacevole modo di ritrovarsi in mezzo alle bancarelle. Dunque, ben vengano. A loro modo sono una specie di antidoto”.