LA CULTURA
di Matteo Marini
“Dal punto di vista artistico di certo San Giovanni possiede opere di maggior valore – è l’opinione del dottor Stefano De Carolis, è un dipinto devozionale probabilmente realizzato da uno dei tanti pittori itineranti forse nel XV secolo. Dal punto di vista della memoria storica e popolare invece è un bene prezioso da salvaguardare”
Perché vale la pena salvarla: perché non è solo una chiesa privata. L’oratorio della Madonna del Monte è un pezzo di storia di San Giovanni, forse il più antico rimasto fino ad oggi, che testimonia un culto dalle radici altomedievali e l’alba della stessa San Giovanni in Marignano.
“Per la comunità marignanese l’oratorio della Madonna del monte è importantissimo – spiega la studiosa Maria Lucia De Nicolò – perché mantiene una continuità sacrale del culto di Maria in età moderna e che ha le sue radici attorno all’anno 1000. Fu rivitalizzata dalla leggenda del miracolo all’inizio del ‘600, quando si riaccese un nuovo fuoco devozionale connesso alle grazie concesse dall’immagine della Madonna”. Sulla costa di Montelupo, infatti, in epoca altomedievale si trovava la prima chiesa di San Giovanni Battista in Castelvecchio, la prima a noi conosciuta, che diede poi il nome all’insediamento successivo: San Giovanni in Castelnuovo, la nostra San Giovanni in Marignano, dopo la bonifica dei monaci benedettini di San Vitale di Ravenna a valle. L’insediamento in altura fu poi abbandonato e con esso anche del culto si perse memoria, fino al rinvigorirsi nel XV secolo grazie ai racconti delle guarigioni a malati e infermi. Di questi ci restano testimonianze scritte anche sulle lapidi affisse alle pareti della chiesa e dalle scritte votive della famiglia Spina. Ai piedi di quelle lapidi votive ora ci sono le macerie del tetto del porticato. Sopra invece le crepe che in mezzo volendo ci passa una mano.
I primi racconti delle grazie concesse dalla sacra immagine si trovano nell’archivio di San Vitale a Ravenna e ci riportano indietro di quasi 400 anni. Da ogni parte del riminese e della zona di Pesaro giungevano pellegrini per chiedere alla Vergine la guarigione. Come “Cristoforo figlio di Antonio Santolini da Rimini pieno di doglie […] che non poteva moversi, raccomandatosi à questa Santissima Vergine il giorno di San Giovanni Battista, fu liberato il medesimo giorno”. Oppure “Bastiano d’Agostino detto il Cardinale da Pian di Castello essendo stato archibugiato, raccomandatosi a questa Santissima Vergine è rimasto libero”. In certi casi l’avvenuto miracolo fu registrato da notai del luogo. Nell’ottobre del 1670 tale Elisabetta Montemaggi da Rimini che “da tre anni era posseduta dal demonio” fece ufficializzare dal notaio riminese Pier Franco Benedettini che “facendo voto di visitare la Beata Vergine del Monte in San Giovanni in Marignano ed eseguendolo il 14 settembre 1669, raccomandandosi alla Vergine, fu liberata dal demonio”.
Storie suggestive che in quell’epoca (il Concilio di Trento si era chiuso nel 1545) ebbero un’attenzione particolare da parte della Chiesa, dopo le riforme luterana e calvinista: “Ravenna avviò un’istruttoria con le testimonianze di chi aveva assistito al miracolo – spiega ancora la De Nicolò – sentiva il bisogno non già di contrastare, quanto piuttosto di imbrigliare, indirizzare qualsiasi afflato del culto. In epoca controriformista voleva evitare che certe manifestazioni uscissero dai cardini. Per esempio l’entusiasmo per i presunti miracoli”. Fu così che arrivò anche “l’abbraccio” della Chiesa e la costruzione dell’oratorio nel 1669 al posto della celletta che ospitava il dipinto miracoloso.
Il culto della Vergine, proprio nel mese di maggio, non è casuale. Sono ancora le lapidi che ce ne parlano: “Nel 1668 certo Giambattista di Gregorio Beretta, che spesso visitava questa immagine delle Vergine Madre, allora venerata in una piccola cella detta del Monte, vide per ben tre notti tra un mirabile splendore apparire l’ombra d’un monaco in cotta e stola e con una fiaccola in mano pregare genuflesso dinanzi alla stessa immagine. Infervorato dalla fede, chiede che cosa volesse e la gran Vergine rispose: che il parroco, la seconda domenica di maggio, ordinasse una solenne processione, facesse celebrare due messe, e le oblazioni dei credenti si impiegassero in onore della Madonna del Monte”. Ed è in questa forma che il culto della Madonna è arrivato fino a noi. Il rito affonda le radici nell’annuale celebrazione delle messi e della primavera, come quello che ancora oggi viene festeggiato a giugno e che la Chiesa ha tentato di “imbrigliare” con la festa di San Giovanni ma che tutt’ora porta il nome di sapore pagano della Notte delle streghe. La processione di maggio si concludeva con una funzione proprio all’oratorio degli Spina, fino a che, un paio d’anni fa, don Piero non ha avuto il saggio consiglio di tenere lontani i fedeli da un edificio in via di crollo.
L’immagine della Madonna del monte ha anche un’altra bella storia da raccontare. Quella della macchia indelebile sulla fronte della Vergine, tramandata dalla tradizione popolare. Un soldato, in un accesso d’ira, scagliò un giorno una pietra contro l’affresco, danneggiandolo. L’icona cominciò a sanguinare. Più volte si tentò di “restaurare” il dipinto ma la macchina tornava puntualmente fuori ed è ancora lì ad accrescere l’aura di santità e mistero assieme alla insolita tonalità scura della carnagione della Madonna.
“Dal punto di vista artistico di certo San Giovanni possiede opere di maggior valore – è l’opinione del dottor Stefano De Carolis, tra gli autori del libro “Con gli occhi del Cielo, le madonne miracolose di Rimini” – è un dipinto devozionale probabilmente realizzato da uno dei tanti pittori itineranti forse nel XV secolo. Dal punto di vista della memoria storica e popolare invece è un bene prezioso da salvaguardare, anche se più volte è stato ridipinto”.
E poi c’è il paradosso. Quella chiesa fu costruita con i contributi e le oblazioni dei fedeli. Mai bene fu più “popolare” quindi di questo, eretto grazie al sacrificio e alla devozione degli antichi marignanesi. Poi passò in mani private, nel ‘700, alla famiglia Spina, che per secoli la mise a disposizione della comunità per le annuali celebrazioni mariane o per i matrimoni, e con successive modifiche all’architettura le diede l’aspetto che ha oggi. Sulla stessa lapide che racconta del Beretta, l’iscrizione suona come una beffa: “Perché il culto di essa si mantenga e si acresca nel nostro popolo, la nobile famiglia dei conti Spina ha fatto, e in perpetuo farà compiere le dette sante opere”.
“In perpetuo” significa ‘per sempre’. Le ultime generazioni della proprietà però non hanno avuto sufficientemente a cuore la cura dell’oratorio. Che ora rischia seriamente di crollare. Soldi non ce ne sono e il pubblico (inteso quello delle amministrazioni) si muove lentamente, come se non ci fosse fretta. Invece di fretta ce n’è tanta. In poche parole alla Vergine serve un miracolo.