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Home Località Cattolica

Magi: ecco ‘Il Codice del Potere’

Redazione di Redazione
10 Marzo 2011
in Cattolica
Tempo di lettura : 4 minuti necessari
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IL LIBRO

di Enzo Cecchini

– Nel IV secolo a.C. Kautilya, detto il Machiavelli hindu, scriveva Il Codice del Potere, uno dei più antichi testi di arte del potere, Arte della guerra e della strategia indiana.
Lo scrittore cattolichino Gianluca Magi, dopo 14 anni di lavoro, ne offre la prima traduzione accessibile in lingua europea direttamente dal sanscrito. Il sito dell’autore è: www.gianlucamagi.it
Dopo il libro tibetano La vita è uno stato mentale torna con Il Codice del Potere. (Arte della guerra e della strategia indiana, Edizioni Il Punto d’Incontro).
“Sono due libri affini e diversi allo stesso tempo. La vita è uno stato mentale è nel mio cuore perché è legato a Raimon Panikkar e Gabriel Mandel khan, due cari amici che l’estate scorsa, a distanza di qualche settimana, sono spiccati in volo su altri stati dell’essere. Panikkar (grande teologo partito come cristiano, scopertosi hindu e ritornato come buddhista, senza cessare di essere cristiano) quando La vita è uno stato mentale era ancora un dattiloscritto che faticava a trovare un editore, mi scrisse una breve lettera di vivo apprezzamento (con una calligrafia microscopica anche per la lente d’ingrandimento), che conservo da qualche parte, incoraggiandomi a non demordere.
Poi su intervento di Franco Battiato, sensibile a questi ambiti di conoscenza e che poi ne curò il progetto di copertina, trovò infine un editore che lo accolse: Bompiani. Perché quel libro è un abbraccio fecondo tra la cultura buddhista e sufi. E per il sufismo, Mandel (califfo della confraternita turca Jerrahi Halveti in Italia) mi diede tanto: è stato un Amico (con la A maiuscola, in senso sufi) che ha insegnato per quindici anni nella Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini, di cui sono il fondatore e il direttore scientifico. La loro scomparsa e La vita è uno stato mentale mi hanno mostrato che la morte è un’illusione individuale, un velo gettato sugli occhi dei vivi”.
E de Il Codice del potere ci puoi dire qualcosa? Com’è nato?
“È nato circa vent’anni anni fa, dal mio sconsiderato proposito di rendere accessibile questo testo di formidabile e insidiosa bellezza. Ben presto compresi che era al di là delle mie possibilità. Ma ho continuato ad accarezzare il proposito. Circa 14 anni fa, dopo uno studio continuato della lingua sanscrita, fui pronto per addentrarmi in questo Partenone di parole «perfette» (sanscrito significa perfectum, “fatto ad arte”). Ma ingenuamente non mi resi conto in che pelago mi stavo inoltrando, ignaro di un compito che mi avrebbe, in pratica, logorato le energie mentali. Tanto che con una certa sicurezza posso dire che mai più mi lancerò in un’impresa di traduzione dal sanscrito di questa portata.
Impelagatomi nell’impresa che si è protratta per tutti questi anni, compresi la ragione per per cui il grande indologo Oscar Botto a cui la Utet, attraverso Luigi Firpo, gli commissionò la curatela di questo testo negli anni Ottanta, lasciò in aria la titanica operazione. Però ora che il libro ha visto finalmente la luce, allieta la mia fierezza italica il fatto che questo testo segreto e temerario è disponibile per la prima volta in lingua europea in forma accessibile direttamente dal sanscrito proprio in lingua italiana.
Negli stessi Stati Uniti se ne lamenta da più parti la mancanza e si reclama una conoscenza diretta di questo capolavoro strategico-politico-militare, sconosciuto in Occidente e noto solo per gli accenni del premio Nobel Amartya Sen, il quale lo tiene in alta considerazione per i suoi argomenti pratici e attuali”.
Un testo segreto e temerario?
“Questo testo, eminente nel genere, contiene pensieri da sempre inevitabili, che però assai di rado hanno trovato accoglienza nei libri di arte del potere. Dopo la traduzione pionieristica del 1913, con tutte le pecche del pionierismo, il testo è rimasto segregato nelle stanze appartate dello specialismo dell’indologia accademica, piombato nell’ombra protettiva della filologia. Il Codice del Potere è un prisma saggezza indiana applicata all’arte della guerra, della strategia e del governo.
Questo libro segreto è opera di Kautilya, il cui nome è già tutto un programma. Significa “l’Insidioso”. Kautilya è un enigmatico e misterioso filosofo-stratega del IV sec. a.C. che la tradizione indiana esalta fino a circondarlo di un’atmosfera di leggenda. Detto l’Aristotele e il Machiavelli hindu, Kautilya è un maestro d’insuperata insidia nell’arte del potere. A tal punto che i suoi insegnamenti resero possibile a un orfano dalle oscure origini, Candragupta, la rapida ascesa al trono e la creazione del primo potente impero indiano, che regnò incontrastato per un secolo e mezzo. Così come diresse i sovrani dell’antichità, oggi in India quest’opera è considerata fondamentale per l’addestramento dei manager, degli strateghi dell’informazione e della classe dirigente.
Se consideriamo che oggi l’India è, e sarà ancor più in futuro, il peso massimo del Sud-est asiatico preparandosi a un prossimo irradiamento da attore globale nello scenario geopolitico internazionale, comprendiamo bene l’importanza di conoscere questo testo”.
È un testo, per intenderci, sulla stessa frequenza dell’altro tuo libro I 36 stratagemmi?
“Potremmo considerarlo la risposta indiana all’opera cinese I 36 stratagemmi. Nonostante siano passati 2.400 anni dalla sua redazione, la sua attualità lascia sbigottiti. Svela le leggi dell’invincibilità in tempo di pace e in tempo di guerra. È una scienza progredita e spregiudicata che esplora la natura del potere, del successo e della prosperità economica: come ottenerli, consolidarli, goderne e governare le responsabilità che comportano.
È come un grande test proiettivo che illumina e guida nella gestione della competizione esterna e nei giochi dinamici di forze in conflitto che sorgono nella nostra interiorità”.
E nei 32 Paesi dove sono letti i tuoi libri come va?
“Splendidamente! Grazie. In Italia hanno un felice riscontro di numerosissimi lettori. All’estero ancora meglio”.

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