PERSONE
di Pietro Cavallaro
– ‘Ma va, non sarà vero!’.
Queste voci a Riccione si sono sentite, però è vero, Antonio è in pensione dal 1 settembre 2011.
Ma andiamo con ordine. Antonio Manzo col suo gemello Leonardo è nato a Rimini l’11.4.1949. Da ragazzo voleva fare l’ufficiale di marina. Ma è diventato (per fortuna) medico chirurgo come il fratello.
Come chirurgo ha ‘operato’ migliaia di persone, donne soprattutto, essendo specializzato nella chirurgia della mammella (ci pensate quanti gioielli ha palpato!?!). Scherzi a parte, cerco di sdrammatizzare, ma i problemi che ha affrontato sono stati innumerevoli e dolorosissimi. I tumori al seno oggi sono curabili perché c’è una grande prevenzione (che lui ha contribuito a diffondere con maestria e professionalità). Una volta portavano spesso a morte precoce.
Si pensi quindi alle sofferenze, ai dolori, alle impotenze, alle paure che ogni giorno ha dovuto trattare sia con i pazienti, che con parenti e amici. Tutto ciò Antonio lo ha esercitato con rara umana, con grande competenza e con una dedizione davvero incredibile. Anche quando la medicina era impotente!
Penso, a mo’ di esempio, a due dei nostri grandi amici che lui ha amorevolmente curato: Jimmy Monaco e Vittorio Moroncelli. Antonio era sempre lì, sempre a disposizione con tutte le sue capacità mediche applicate con umanità. Con mitezza. Con umiltà. Con competenza e con una dedizione forse unica.
Non mi è possibile fare bene i conti, perché non sono in grado di avere i dati, ma sarei pronto a scommettere che più della metà del suo lavoro lo ha fatto gratuitamente. Sempre disponibile (ha lavorato fino e oltre 14 ore al giorno per chiunque avesse bisogno: amici, conoscenti, sconosciuti, stranieri o extra-comunitari, con o senza permesso di soggiorno.
Mi chiedo come è possibile che l’Ausl abbia accettato il pensionamento di un elemento così!
Qualcuno ascoltando tutto ciò potrebbe dire: ‘Santo subito!’. Ma non è ovviamente così. Nessuno sulla terra è perfetto, anche Antonio dunque non lo è; ha commesso errori, avrà subito stanchezze e delusioni, ma, lo dico col certo, i risultati complessivi della sua ‘missione’ (perché tale l’ha sempre considerata) finora sono eccezionali.
I suoi colleghi hanno sempre apprezzato le grandi doti, il ‘successo’ ovviamente può suscitare qualche gelosia. E se Antonio ne ha avuto una qualche sofferenza non lo ha mai dato a vedere.
Non si può certamente dimenticare i suoi innumerevoli viaggi come inviato della Cri (Croce rossa italiana): Kurdistan, Iraq, Kenia, Albania, Romania, Congo…
Ma anche in numerose località italiane toccate da calamità naturali. A Riccione è da sempre, a quanto ricordo, il responsabile della sede locale della Cri. Il dottor Antonio Manzo, per me e forse non solo, è la Croce rossa. Lo stesso per l’Avis.
Ha svolto anche un prezioso servizio per la collettività come assessore ai Servizi sociali per il Comune di Riccione. La solidarietà e il volontariato sono sempre stati il suo pane quotidiano.
Come cattolico non è mai stato un fervente praticante, ma possono affermare, per averlo vissuto innumerevoli volte, che la sua aderenza alle indicazioni evangeliche è stata ben più solida e profonda di tante persone più pie e più praticanti.
Il 12 settembre 2011 sua moglie Gerri con alcuni amici hanno voluto organizzare una festa di saluto e ringraziamento per il lavoro svolto, essendo giunto alla (troppo precoce) pensione. E’ stato fatto tutto in silenzio, col passaparola. Se lo avesse saputo, Antonio si sarebbe decisamente rifiutato. Gli era stato detto di tenere una conferenza (ne ha fatte tantissime) sulla prevenzione dei tumori al seno. Non appena ha cominciato a capire si è arrabbiato moltissimo, poi pia pianino si è adeguato. In chiusura Marino Masi (associazione culturale Le Nuvole, organizzatrice della serata) ha chiesto scusa a nome di tutti (il salone al secondo piano del Palazzo del turismo era strapieno di gente venuta anche da lontano). Gli applausi sono stati a getto continuo. Scuse rivolte ad Antonio per averlo affettuosamente ingannato, ma soprattutto a quelle persone, non solo donne, che non conoscendo il vero motivo fossero venute per ascoltare quanto pubblicizzato.
E’ stata una bellissima manifestazione di corale affetto verso Antonio.
Si ‘sentiva’ l’amore della gente, la riconoscenza delle donne, l’affetto di tanti amici, la dedizione della famiglia, soprattutto della moglie Gerri.
E’ stato appena accennato (per non farlo pesare), ma tutti abbiamo avvertito i ‘sacrifici’ che ha vissuto Gerri nell’averlo per lo più lontano da sé: tutti i giorni per 12-14 ore, ogni anno per molte settimane in alcuni dei luoghi più pericolosi del mondo. E’ l’amore per lui con cui Gerri ha organizzato il tutto.
Concludo con un’ottima notizia: Antonio è in pensione, è vero, ma continua la sua attività sanitaria a Riccione, a Rimini e a Morciano. Ciò spiega il titolo interrogativo della presente testimonianza.
E’ stato deciso di regalargli un ecografo con cui possa continuare parte del suo lavoro futuro, quello in particolare che riguarda in particolare la sua attività gratuita in modo da non dover pesare sulle strutture sanitarie dove presterà la sua opera.
Non abbiamo ancora raggiunto la cifra occorrente, quindi chiunque volesse partecipare, può ‘bonificare’ con una qualunque cifra sul conto corrente appositamente costituito presso la Banca Popolare Emilia Romagna di Riccione in viale Dante.
Le coordinate bancarie: IT49AO538724100000002009574 intestato a Cavallaro-Canarezza e Bilancioni, con causale per ecografo dottor Manzo.
“Questo non sarebbe stato possibile in Germania”
Guardò il ginocchio, fece sedere mio suocero su uno sgabello nella saletta dei medicinali, prese i suoi ferri del mestiere e, “zac” risolse il problema
PERSONE
di Edmo Vandi
– Dunque Antonio Manzo è andato in pensione. “Pensione” mi sembra un paradosso. Avrà impegni come prima e più dì prima. La Croce Rossa, il Volontariato, ma soprattutto i tantissimi pazienti-amici che lo seguiranno nella sua attività privata.
Mi piace scrivere di lui perché nelle diverse occasioni della vita nelle quali abbiamo operato (non chirurgicamente) insieme, ho avuto modo di apprezzare il suo carattere straordinario di persona dedita principalmente al bene degli altri. Lo ricordo nelle vesti di assessore comunale ai Servizi sociali. Era un amministratore anomalo. Infatti si preoccupava di aiutare la gente, pensate “senza secondi fini”. Lo aspettavano in corridoio, li acoltava, prendeva appunti e quando arrivava in ufficio aveva quasi smaltito la coda. Era così strano il suo comportamento che, infatti, non venne rieletto (anche perché in campagna elettorale, mentre i suoi concorrenti correvano di casa in casa, di piazza in piazza, lui persistendo nei suoi disdicevoli comportamenti si era recato in un ospedale del Terzo mondo ad operare bambini).
Antonio è un buono ma non un debole. Alla dogana di Valona, in Albania, fermati con un carico di aiuti, i doganieri (gente strana, viaggiavano da un posto di blocco all’altro su una Mercedes nera targata Milano, avevano dei passamontagna neri con sottili feritoie per gli occhi mentre dai finestrini spuntavano le canne dei Kalashnikov). Antonio li contattò e tornò sconsolato. “Per farci passare vogliono i soldi ma io non cedo”. Restammo fermi per cinque lunghissime ore. Antonio andava e veniva, poi alla fine ci concessero di ripartire. Avevano ceduto loro. “Lor j’ha i mitra – disse Antonio – ma me ho la tegna”.
Infine il “modus operandi” nel suo lavoro. Il mio suocero tedesco resistette per settimane ad una sofferenza intensa a causa di una suppurazione al ginocchio destro. Un giorno entrò in crisi e, sopraffatto dal dolore, mi supplicò di portarlo in ospedale. Occorreva intervenire all’istante per cui scartai il Pronto soccorso e, come sempre, pensai a “Sant’Antonio”. “E’ in sala operatoria – mi disse un’infermiera – ma fra poco dovrebbe uscire”. E così fu. Guardò il ginocchio, fece sedere mio suocero su uno sgabello nella saletta dei medicinali, prese i suoi ferri del mestiere e, “zac” risolse il problema. Il buon Willy era raggiante: “Das wàre in Deutschland nie fùr mòglich gewesen” (questo in Germania non sarebbe mai stato possibile). Replicai in dialetto: “Gnenca in Italia!”.