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Non dovevamo essere ottimisti e senza nuove tasse?

Redazione di Redazione
10 Agosto 2011
in L'opinione
Tempo di lettura : 5 minuti necessari
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– Do ve sono andate a finire le professioni di ottimismo di Berlusconi, che ci raccontava la favola di un’Italia che se la cavava meglio di tutti? I nodi sono venuti al pettine. L’Europa ha richiamato l’attenzione dell’ Italia sul suo spaventoso debito pubblico, negli anni ’80 ingigantito dal governo di Craxi, il protettore delle televisioni di Berlusconi. Per questo l’Italia è stata messa nel mirino dalla speculazione internazionale. Ne è derivata così la grande Manovra di Tremonti, a spese soprattutto dei ceti medi e delle famiglie, nelle cui tasche Berlusconi ha messo abbondantemente le mani. La Manovra non è stata votata dai partiti di opposizione, che però hanno accettato una discussione parlamentare affrettata, come voleva il Capo dello Stato Napolitano.
Il mese di luglio non era cominciato bene, per Berlusconi. Il 9 luglio 2011 la seconda Corte civile d’Appello di Milano ha condannato all’unanimità la sua Fininvest a risarcire la Cir di Carlo De Benedetti versandole 560 milioni di euro. Perché «risarcire»? Ma per la semplice ragione che Berlusconi è stato giudicato «corresponsabile della vicenda corruttiva per cui si procede», ossia del fatto che il giudice romano Vittorio Metta si era lasciato corrompere, vendendo per 400 milioni, il 24 gennaio 1991, la sentenza con la quale la Casa Editrice Mondadori veniva sottratta a De Benedetti e data a Berlusconi. Quei soldi provenivano dal conto svizzero della Fininvest. Bonificati dalla Fininvest sul conto svizzero di Cesare Previti (l’avvocato di Berlusconi, da costui nominato ministro nel 1994!), i 400 milioni furono fatti arrivare da quest’ultimo al Metta, che nell’aprile 1992 li usò per pagare una caparra di una casa a Roma.
Una questione di diritto penale, quindi: la Cassazione, il 13 luglio 2007, ha irrogato due anni e 9 mesi a Metta, e 18 mesi a Previti. E Berlusconi? Il Cavaliere se la cavò: non per assoluzione, si badi, bensì per prescrizione del reato. I suoi maggiordomi, oggi, si guardano bene dal ricordarlo: tutti solidali con lui ed anche con i suoi soldi. Questo la dice lunga su ciò che è in realtà il Popolo dei parlamentari e dei giornalisti berlusconiani: tutta gente nominata dal Capo, o da lui stipendiata.
Ma la storia non finisce qui. Pochi giorni prima della sentenza di Milano, qualcuno infilava nella Manovra di Tremonti un comma 23, mai comparso in Consiglio dei ministri, e che, se approvato, avrebbe salvato la Fininvest dall’ immediato risarcimento alla Cir. Chi? Berlusconi disse che tutti i ministri lo conoscevano, e che Tremonti «non ha ritenuto di portarla al voto del Consiglio perché era sicuro che tutti i membri del governo sarebbero stati d’accordo» (una strana teoria). Bossi: non è vero, nessuno ne sapeva niente, nemmeno Tremonti. Ma chi aveva scritto allora quella norma? Secondo Tremonti, essa era uscita da Palazzo Chigi: o Letta, o Berlusconi stesso. Fatto sta che quest’ ultimo, visti il “no” del Capo dello Stato e della Lega, decise di ritirare il comma 23 dal decreto. Come si vede, siamo governati da una squadra di sbandati e di bugiardi.
Ma la storia non finisce nemmeno qui. Interrogato dai giudici napoletani sul comportamento del suo collaboratore Milanese, deputato del Pdl oggi sotto richiesta di arresto, Tremonti ammise il contrasto tra lui e Berlusconi, aggiungendo poi di non voler fare la fine di Boffo, il direttore di “Avvenire” calunniato dal “Giornale” e costretto a dimettersi: era come dire che la macchina del fango, orchestrata dalla stampa berlusconiana, è pronta ad abbattersi su chiunque si opponga a Berlusconi. Ne sa qualcosa il giudice Raimondo Mesiano, il quale, per avere nell’ottobre 2009 assegnato alla Cir un risarcimento di 750 milioni, fu inseguito di nascosto da una troupe di Canale 5 e sbeffeggiato come persona “strana”, anormale, a causa dei calzini turchese da lui indossati!
Il mese di luglio si era inaugurato con la nomina di Alfano a segretario del Pdl, seguita dai fieri propositi del ministro della Giustizia di democratizzazione del partito. Con l’aggiunta di una barzelletta: egli ha definito «partito degli onesti» il Pdl, che ha due deputati (Alfonso Papa e Marco Milanese) di cui la magistratura ha chiesto l’arresto, concesso per Papa dalla Camera, e un ministro, Saverio Romano, di cui la pubblica accusa ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterni in associazione mafiosa.
La figura di Alfano ricorda molto da vicino quella di Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini, dal “duce” nominato ministro degli Esteri. Nel 1939, quando Mussolini, dopo l’ invasione della Polonia da parte dell’esercito tedesco, dovette dichiarare la «non belligeranza» dell’Italia, non ancora pronta per la guerra, Ciano tentò di trattenere l’Italia dalla dichiarazione di guerra a fianco della Germania, poi avvenuta il 10 giugno 1940. Egli avrebbe voluto trasformare la non belligeranza in neutralità, e trattare con Parigi e Londra per ottenerne condizioni favorevoli all’Italia; ma il potere vero l’aveva il “duce”, e Ciano dovette rassegnarsi. Succede sempre così, quando il potere reale è nelle mani di uno solo. Alfano potrà anche illudersi di comandare lui, ma nel Pdl il potere è tutto nelle mani di Berlusconi, che possiede soldi, tanti soldi, e le televisioni pronte ad obbedire ai suoi ordini, e infinite possibilità di comprare giornalisti, deputati e senatori. Berlusconi ha nominato l’Alfano segretario dinanzi ad una platea plaudente, quando ancora la carica di segretario del Pdl non esisteva. La carica è stata istituita dopo. Ma non c’è Alfano che tenga. Nessuna democrazia è possibile, in regime di monarchia assoluta. A poco serve farlo esordire a Mirabello, dove si è riunito lo stato maggiore del Pdl dimostrando quanta paura facciano ancora il presidente della Camera Fini e la sua Mirabello di settembre. Come ho avuto occasione di dirgli, nel Pdl è insopportabile l’idea che abbia preteso la democrazia nel Pdl un uomo che ubbidendo sempre a Berlusconi avrebbe avuto nella sua nicchia la successione al Capo e una comoda carriera.
Nella settimana tra l’11 e il 16 luglio si sono consumate altre due mascalzonate dell’attuale maggioranza. La prima è consistita nel rinviare il taglio dei costi della politica, che poteva fruttare almeno un miliardo: sacrifici per le famiglie italiane, dunque, ma non per i politici. La seconda è stata l’approvazione, alla Camera, della legge sul biotestamento, che Berlusconi ha usato ancora una volta come merce di scambio con il Vaticano. A quest’ultimo, infatti, non basta che il cattolico scelga per sé, in stato di coma, l’alimentazione e l’idratazione forzata: il sondino al naso o nella pancia va imposto per legge a tutti. Questo il senso della legge approvata il 12 luglio 2011. Frutterà dei voti a Berlusconi? C’è da dubitarne, perché sono molti i cattolici che ritengono che l’introduzione del sondino sia una terapia, e non la continuazione del bere acqua e del mangiare cibo. Checché ne pensi il Vaticano.
In questo bel campionario si è aggiunto il crescente distacco della Lega da Berlusconi. La base e gli elettori della Lega hanno imposto ai deputati del Carroccio il voto a favore dell’ arresto di Papa. Se ne è reso interprete il ministro dell’Interno Maroni, il quale naturalmente continua a professare fedeltà a Bossi. Bossi ha un rapporto notarile di amicizia con Berlusconi, ma, al di là dell’ossequio formale, non è più in grado di portarsi dietro il suo movimento, sempre più irritato dai casi di corruzione emersi nel Pdl (la P3 e la P4 di Bisignani). Sta tornando in campo in pieno la questione morale, come nel 1992, e su questa Bersani dovrà mettere in riga il Partito democratico, colpito in alcuni dirigenti di livello nazionale indagati dalla magistratura, se vorrà dimostrare agli italiani che il centrosinistra offre all’Italia un’alternativa anche morale al berlusconismo.

* Libero docente all’Università di Roma

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