IL PERSONAGGIO
– L’occasione per scoprire cos’è stato il Risorgimento e soprattutto chi era Giuseppe Garibaldi sta poco lontano dalle nostre coste, sulle alture della Valconca. Nelle celle che furono della prigione della rocca di Saludecio, ordinatamente disposti in teche e quadri, centinaia di pezzi della nostra storia aspettano di essere conosciuti e ammirati. Divise, armi, documenti e raffigurazioni che in molti casi vedono la luce dopo un secolo e mezzo di buio.
A volte anche scritti importanti che potrebbero interessare studiosi e storici. Michele Ottaviani non è uno storico, ci tiene a precisarlo, ma che il suo non fosse un semplice hobby era chiaro a tutti da molto tempo. Anche perché lui non sembra proprio il tipo che fa le cose tanto per fare. La passione per il collezionismo è una malattia che lo pervade da quando è nato. All’inizio erano le moto d’epoca e i fucili, oppure le bottiglie di Vecchia Romagna. Poi è arrivato Garibaldi:
“Più o meno 25 anni fa – racconta – viaggiavo per i mercatini dei pezzi di motociclette d’epoca assieme ad un altro appassionato, Antonio Foresti. Garibaldi mi aveva affascinato alle elementari, quando studiavamo il Risorgimento. Ma si era fermata lì. Antonio invece è un vero studioso, conosce tutto dell’eroe dei due mondi. Una volta ero assieme a lui e quasi per sfida comprai tutta una serie di quadretti a un mercatino, con stampe d’epoca che riguardavano Garibaldi. È iniziato così”.
Stampe come quelle si possono ammirare adesso nella lunga sala all’ingresso del museo garibaldino di Saludecio, all’interno del palazzo comunale. Un museo nato per iniziativa di Michele Ottaviani e che il Comune è stato ben lieto di allestire con i cimeli che questo saludecese di adozione (è di origine marignanese e si occupa di camion nelle sue officine), ha raccolto in 25 anni di ricerche tra mercatini, siti internet e passaparola.
Quando trova qualcosa che gli sembra possa appartenere all’epoca risorgimentale, tra il 1848 e la fine dell’XIX secolo, la compra, d’impulso. Ci vede quasi sempre giusto. È così che ha raccolto i quasi 2.000 pezzi della sua collezione: “Fino a quattro anni fa stava tutto quanto in un magazzino a prendere polvere. Nel 2007, per il bicentenario della nascita di Garibaldi, mi decisi a chiedere ai comuni se erano interessati a fare un’esposizione con i cimeli che avevo raccolto. Non ho trovato molta disponibilità se non proprio dal sindaco di Saludecio, Pino Sanchini. Abbiamo creato questo, che ormai è diventato un museo fisso, per le visite delle scolaresche. In realtà sono venuti in tanti, anche il prefetto, a visitarlo. Ancora di scuole nessuna. Speriamo comincino, visto che quest’anno è il 150esimo dell’Unità”.
Solo visitando un museo come quello che Michele ha allestito ci si rende conto della grandiosità che la figura di Giuseppe Garibalbi si era conquistata. Non solo in Italia. Il suo volto campeggia nelle prime pagine delle stampe di periodici dell’epoca. Dalla Rivista illustrata e l’Illustrazione italiana al francese Le Monde illustré oppure Harper’s weekly che gli dedicò la copertina nel numero di giugno del 1882, quello in cui morì. Procedendo oltre, sulla destra, una collezione di ceramiche con raffigurazioni dei personaggi risorgimentali e numerosi documenti dell’epoca, tra cui un biglietto autografo dello stesso Garibaldi, alcuni scritti dai suoi figli e una comunicazione che dà l’annuncio della sua morte, datata 1882. Anche a livello commerciale Garibaldi era un brand sicuro, un po’ come il ritratto del Che nei giorni nostri, un ideale usato anche per vendere.
L’effigie barbuta dell’eroe dei due mondi è riprodotta su tutta una serie di oggetti: foto, cartoline, medaglie, un segnalibro di seta fino anche a degli alari da camino.
Ha fatto tutto a sue spese, realizzando anche le bacheche nelle quali ora sono esposti: “Se ho realizzato tutto questo è stato anche grazie alla mia famiglia, sacrificando spesso anche le ferie. Però mia moglie ha capito quanto era importante”. Se prova a fare due conti, trova una cifra indicativa di quanto ha investito un tutti questi anni, secondo lui più di 300mila euro.
Ogni sala riserva sorprese. Riposta con ordine in una teca la giubba rossa e i pantaloni bianchi di una divisa del garibaldino Enrico Isnenghi. Con tutti i documenti del proprietario, completa di cappello e sciabola. Ogni cosa al suo posto, compresa la foto e il fazzoletto ancora ripiegato nel taschino, tutto in perfette condizioni. Se si alza lo sguardo colpiscono le canne dei fucili appesi alla parete, rivolte verso l’alto e disposte attorno a un tricolore rotondo di stoffa. Fucili dell’esercito, da caccia e rivoltelle che ancora potrebbero sparare: il cane e tutti i meccanismi ancora “schioccano” che è una meraviglia. “Queste armi me le regalò un signore, un partigiano, che le aveva nel suo baule. Aveva letto di me e della mia collezione, mi chiamò un giorno e mi disse ‘è roba tua’. Io insistevo per pagare ma aveva già preso la sua decisione”.
C’è anche il sottosella di Anita, i discendenti la diedero via per quattro spiccioli. Un raro ritratto della moglie di Garibaldi, la bellissima brasiliana dai capelli neri corvini, è conservato nella stanza a lui dedicata, tra le numerose immagini del marito.
Poi ci sono altri tesori, come i libri e gli scritti autografi dell’epoca. Il prezioso racconto di Francesco Parodi, che partì da Genova pochi giorni dopo che i mille ebbero preso il largo, facendo rotta verso Marsala, è scritto in corsivo su un quadernetto di scuola.
Caporale del secondo reggimento, sedicesima divisione, prima brigata, raggiunse le camicie rosse in Sicilia e assieme a loro conquistò il sud d’Italia fino Teano. Tra le pagine scritte con calligrafia chiara e ordinata anche i disegni dei luoghi, uno ritrae la casa dello stesso Garibaldi. C’è anche la pianta della storica battaglia del Volturno, per la quale fu anche decorato con la medaglia d’argento al valor militare, redatta da uno dei protagonisti di un episodio che ha cambiato il destino del nostro paese.
Ora la ricerca di Michele si è fermata. Perché gli oggetti sono diventati troppi quasi anche da inventariare e lui, è doveroso ricordarlo, da tutto questo non guadagna nulla: “Io non commercio, compro solo” spiega. Molti sono ancora chiusi in cassetti, sotto chiave, assieme a centinaia di testi storici che aspettano di essere letti, magari dagli studiosi in qualche grande biblioteca: “Un po’ di materiale ora è alla mostra di Francesca da Rimini del professor Ferruccio Farina – spiega – e in seguito probabilmente andranno a San Giovanni per completare l’esposizione dedicata all’Unità d’Italia. Certo mi piacerebbe che tutto questo materiale avesse una collocazione degna della sua importanza, magari a Rimini. È un bel sogno che spero di realizzare”.
Matteo Marini