IL PERSONAGGIO
– Anche un riminese nato in via Cairoli, con il babbo Ermenegildo di via Soardi e la madre Iole di via Mentana, tra i 19 stranieri a sfilare per le strade di Pechino in occasione delle celebrazioni dei 60 anni della presa del potere della rivoluzione cinese. Su un mezzo aperto, l’alto riconoscimento si è celebrato nell’ottobre del 2009. Lui si chiama Pierluigi Cecchi. Riminese puro sangue, insieme alla moglie Rosalba Rondinelli, anche lei medico, da 11 anni lavora all’ospedale pediatrico di Pechino, il più grande della Cina con 780 posti letto.
Con la Cina, Cecchi ha un rapporto bellissimo: amore assoluto. Perfino i lineamenti del suo volto rimandano a quell’antico popolo di certosini, attenti e spavaldi commercianti. Racconta: “Mio moglie mi dice che essendo innamorato per me i cinesi sono perfetti. Assolutamente senza difetti. Anche se so che sono quelli degli uomini. I cinesi sono seri, precisi, puntuali, puliti. Hanno servizi pubblici eccellenti; si sale in treno con le modalità dell’aereo”.
Amante del bello, una via con la quale secondo alcuni si raggiunge Dio, alcuni anni fa, Cecchi si portò a Riccione una bellissima tazza in ceramica databile ai primi del 1400, o ai primi del 1600. Un capolavoro raffinatissimo di gialli, rossi, blu, verdi su un fondo bianchissimo. Custodito in un cofanetto, lo mostra allo scriba durante la chiacchierata lo scorso 20 novembre. Dice: “Ora la riporto indietro, perché è giusto che resti lì dove è stato creato”. Collezionista di ceramica antica cinese, la fotografia è l’altra grande passione di Cecchi. Con le sue istantanee è stata realizzata una mostra itinerante in Italia che aveva come soggetto bambini cinesi in bianco e nero. Negli anni si è sempre divertito a immortalare amici e relativi figli.
Uomo fuori dal comune Cecchi. E’ con la valigia in mano dalla fine degli anni Settanta: Uganda, Zaire, Kenya, Etiopia, Vietnam (dal ’96 al ’99). Nel ’99 partecipa ad una gara come capo-progetto dell’ospedale pediatrico di Pechino. Vince l’Afnal dell’associazione Fatebenefratelli. E il Fatebenefratelli sceglie il perdente Cecchi per il ruolo. Ricorda il pediatra riminese che non ha mai fatto ambulatorio privato: “Quando ero in Africa, dopo un po’ sentivo la nostalgia di casa. Invece, in Vietnam e in Cina mi sono subito sentito a casa mia. E in questi anni cinesi sono riuscito a capire meglio anche la cultura vietnamita”. Ha imparato il cinese, ma quando visita e nei momenti ufficiali utilizza l’interprete. Cecchi: “Il cinese oltre che sui libri, si impara praticandolo; i toni e gli accenti sono importantissimi”.
Ma come sono i pediatri cinesi. “Ne ammiro l’intelligenza, le capacità e la volontà – continua Cecchi -. Applicano un ragionamento diverso rispetto all’analisi clinica della medicina occidentale. Noi di fronte alla malattia cerchiamo di capire attraverso le malattie simili. I cinesi invece parlano del sintomo, del dolore e cercano di indagare da dove viene, perché la loro medicina tradizionale si basa sul sintomo. Inoltre, i medici cinesi possiedono una grande manualità. E la manualità è cervello: è il cervello che fa e non la fermezza della mano”.
Tra una spedizione e l’altra all’estero, Cecchi ha lavorato prima nel mitico ospedalino di Rimini come pediatra e poi a Cattolica, sempre come pediatra. E’ specializzato in terapia intensiva neonatale e del bambino. Ha iniziato ad intubare nei primi anni ’70, prima a Milano e poi a Napoli.
In suo onore, per la Cina, lo scorso novembre, la Fondazione San Giuseppe di Rimini ha organizzato una cena di raccolta fondi. Una sala gremita e affettuosa ha commosso il granitico Pierluigi Cecchi. Moltissimi gli ex colleghi di reparto di Rimini e Cattolica. Cecchi: “Se sono diventati esigenti e ‘cattivi’ la colpa è mia”.
g. c.