IMPEGNO CIVILE
LA RIFLESSIONE
di Michele di Schiena*
– La crisi del governo Berlusconi, esplosa a seguito delle clamorose fratture – verificatesi nella sua maggioranza fino alla fiducia dello scorso 14 dicembre, strappata alla Camera con soli 3 voti di maggioranza – è da settimane al centro di un aspro confronto tra le forze politiche che comprensibilmente si soffermano sui fattori prossimi delle difficoltà in cui si dibatte il Paese, senza però guardare più a fondo per cogliere l’origine ultima di questi fattori, la causa delle cause del grave disagio che stiamo vivendo. Un tale impegno di approfondimento e di riflessione potrebbe invero servire per mettere in rilievo che la causa primaria della crisi va rinvenuta nel progressivo allontanamento della politica dallo spirito e dalle direttive della Carta costituzionale, dopo la prima fase della storia repubblicana definita “gloriosa” per alcune incisive riforme (pensionistica, di attuazione dell’ordinamento regionale, del diritto di famiglia, del servizio sanitario, dello statuto dei lavoratori e via dicendo).
Una “bella” Costituzione, la nostra, portatrice di un grande disegno riformatore con obiettivi di uguaglianza e di giustizia sociale considerati non come un lontano orizzonte di valori ma come traguardi concreti di progresso civile da raggiungere col metodo costante della partecipazione democratica. Un disegno condiviso dai padri fondatori della Costituzione nel quale confluirono le sensibilità e le aspirazioni del solidarismo cristiano, del socialismo nelle sue diverse espressioni e della cultura liberal-democratica nonché di tutte le forze attive che avevano partecipato al movimento popolare della Liberazione.
A partire dagli anni ’80 c’è stato dunque nella politica nostrana uno strisciante distacco dalla cultura liberante e trasformatrice della Costituzione, dovuto anche all’avvento nel mondo occidentale di tendenze iperliberiste fautrici di un modello di società diverso da quello delineato dal nostro Statuto. Un affievolimento della tensione democratica che è poi esploso, dopo le tragedie degli anni di piombo e dello stragismo e dopo lo scandalo di tangentopoli, nel tentativo del berlusconismo di scardinare il sistema costituzionale disegnato dalla Carta del ‘48, un sistema fondato sulla centralità del lavoro e sulla tutela e la promozione dei diritti fondamentali in una democrazia parlamentare ispirata ai valori della solidarietà e della giustizia. Abbiamo perciò assistito in questi ultimi anni alla progressiva mortificazione del progetto costituzionale per fare spazio a inclinazioni autoritarie, a normative modellate su interessi di parte, al tentativo di indebolire il ruolo del Parlamento e quello di tutti gli organi di garanzia e controllo, al proliferare di leggi ad personame persino alla dura esplicitazione di intenti rivolti a cambiare radicalmente la Costituzione.
Si è giustamente detto che la seconda parte della Costituzione richiede alcuni adeguamenti che tengano conto di talune mutate esigenze, ma ben altro è il progetto del premier, il quale in alcune sue dichiarazioni ha messo in discussione princìpi e norme della prima parte della Carta e, per la seconda parte, quella ordinamentale, ha annunciato riforme che altererebbero i connotati della democrazia parlamentare colpendo in tal modo l’intero impianto di uno Statuto come il nostro caratterizzato dall’assoluta inscindibilità delle due parti che lo compongono. Progetto di società e metodi per realizzarlo, scelte e regole, dinamiche e garanzie, fini e mezzi, i secondi sempre in funzione dei primi e questi a quelli organicamente legati da un vitale rapporto: è questo il cemento che rende unitaria la struttura della nostra Costituzione, un edificio destinato a crollare se viene pesantemente manomesso qualcuno dei pilastri sui quali si regge.
A fronte allora di una crisi che, al di là dei fattori scatenanti degli ultimi mesi, ha la sua causa primaria nella estraneità della politica berlusconiana alla filosofia costituzionale, occorre fare ricorso ai “tesori” di uno Statuto che esprime, come diceva il grande giurista e deputato alla Costituente Piero Calamandrei, il “sogno di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini alleati per debellare il dolore”. Una Costituzione che configura il metodo democratico come uno strumento finalizzato, per dirla con le parole di un altro grande giurista, Costantino Mortati, a “dar vita ad una trasformazione di fondo dei rapporti di produzione e di distribuzione del reddito, per giungere così ad un diverso e più giusto equilibrio sociale”. Occorre allora un patto di solidarietà nazionale per la difesa e il rilancio della Costituzione tra tutte le forze che si riconoscono pienamente nello Statuto nel rispetto delle identità delle scelte di ciascuna di esse.
È questo il necessario presupposto, la indispensabile precondizione di ogni impegno inteso a superare responsabilmente l’attuale crisi di governo. Se questo patto, che già tende a delinearsi negli orientamenti delle forze di opposizione e di quelle di alcuni settori dell’ex maggioranza, sarà confermato e reso in qualche modo esplicito, la nostra democrazia ne trarrà enorme giovamento e l’epilogo della crisi, quali che possano essere le emergenze da affrontare e le scelte da operare, sarà certamente positivo e tale da aprire la strada ad una rigenerazione morale e politica di cui il Paese ha estremo bisogno.
*Magistrato, presidente onorario aggiunto
della Corte di Cassazione (www.adista.it)[/b
LA TEOLOGIA DEL RAGIONIERE
La morte: credere
conviene… qui e oggi…
di Gianfranco Vanzini
“Noi non moriamo, cambiamo semplicemente casa”
– Novembre 2006, Milano. Mentre sta andando a trovare un amico che gli aveva chiesto di vederlo, l’ing. Marco Soranzio, 29 anni, originario di Monfalcone, numerario dell’Opus Dei, direttore di una residenza universitaria, viene investito da un’auto; cade malamente e muore praticamente sul colpo. Da questo evento, ovviamente tragico e doloroso, particolarmente per i genitori, la sorella e gli amici, passano 4 anni.
Novembre 2010, Monfalcone. Si celebra il quarto anniversario della morte di Marco. La chiesa, dove Marco è cresciuto e dove è sbocciata la prima scintilla della sua fede, è piena. Ci sono i genitori, la sorella, i parenti, i concittadini che lo hanno conosciuto; ma, soprattutto, ci sono una trentina di giovani amici, universitari o ex universitari ormai laureati, che Marco ha incontrato nei suoi anni di permanenza e di attività nell’Opera (così viene chiamata dagli amici l’Opus Dei) che, da ogni parte d’Italia ( Milano, Bologna, Trieste, Palermo, ecc.) sono venuti a pregare per l’amico “in cielo”.
La S. Messa viene celebrata da un sacerdote dell’Opera, grande amico e collaboratore di Marco. Finita la S. Messa, tutti questi giovani, con i genitori di Marco e la sorella, si ritrovano in una sala della Parrocchia dove un gruppo di amici della famiglia ha preparato un pranzo per tutti.
E’ l’anniversario di una morte, di un evento umanamente tragico e doloroso, ma il clima è di festa!
In tutti c’è la consapevolezza e la certezza che Marco è lì presente. Che li vede, che gioisce con loro. Non c’è posto per la tristezza, la sconsolatezza, il dramma, le domande: “perché proprio lui?, perché a soli 29 anni?” Niente di tutto questo. Quello che è bello, che fa pensare e che trascina è l’atteggiamento dei genitori e della sorella: un atteggiamento di fede, di abbandono.
Dio ha voluto così e così sia.
Il perché non conta, Lui ha deciso e Lui ha avuto le sue ragioni.
Dice S. Josemaria Escrivà ( il fondatore dell’Opus Dei) in un suo scritto: “No, noi non moriamo, cambiamo semplicemente casa……Noi dovremmo morire salutando così: “arrivederci”…..Dio non è un cacciatore in agguato, è un giardiniere che cura i fiori, li annaffia, li protegge e li recide solo quando sono più belli e rigogliosi. Dio coglie le anime quando sono mature.”
E Papa Benedetto XVI conferma: “ Dobbiamo avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c’è, è la vera vita e da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo” (v. prefazione del Libro “Preferisco il Paradiso” di Pippo Corigliano, ed. Mondadori)
E allora non c’è più posto né per la mestizia, né per la tristezza; al contrario, c’è una atmosfera di festa, di gioia.
Una commemorazione, che diventa l’occasione per un incontro fra vecchi amici.
Ecco il primo miracolo della fede: la capacità di esorcizzare e di sconfiggere la morte.
Con queste certezze, infatti, tutto cambia; l’umana sofferenza resta, l’assenza di una persona cara si sente e si continua a sentire, ma la prospettiva è diversa.
Lo spirito è in pace, anzi nel profondo è in letizia, perché sa che la persona amata vive, sta bene, ha raggiunto il luogo per il quale era stata creata.
Obiezione di qualcuno un po’ scettico: E se tutto questo non fosse vero? E se fosse tutta una balla?
Risposta del ragioniere: “ Innanzitutto guardati intorno, ci sono un sacco di testimonianze che confermano che questo è vero e che, quindi, è credibile pensare che sia vero. Ma se anche non fosse vero e, dopo questa vita, tutto finisse e non ci fosse più niente né di bello né di brutto, avere avuto fede e aver creduto, non ti ha già fatto vivere bene su questa terra? Non hai affrontato il tema della morte con più serenità, pace, tranquillità? E ti sembra poco? Anche solo per questo non varrebbe la pena provarci.? A me ragioniere sembrerebbe di sì ”.
(continua)