Il complesso del beato Amato all’ingresso di Saludecio provenienti da Morciano.
Nel cerchio piccolo l’ingresso alla sua cella (oggi cappella)
Cerchio grande, l’ostello dei pellgrini
STORIE
– Silenzi. Storie. Incontri. Fede. Religiosità. Pantesismo (Dio come natura del mondo). Laicità. Con punte di agnosticismo (colui che non ha un animo così puro per potersi immaginare la grandezza di Dio ma non ne esclude l’esistenza). Ottocento chilometri sui passi del beato Amato per pensare il senso della vita (il nulla, stessi, o quel che ti pare) verso Santiago (l’apostolo San Giacomo, uno dei santi da novanta della cristianità) de Compostela (Campo di stelle) sulle coste della Spagna che si affacciano sull’Atlantico. Le “avventure” dello scorso agosto di Dilvo Polidori e l’amico d’infanzia Marino Calesini. Dicono i due: ‘Un tragitto, che ti prende, che ti cambia la vita, che è un’esperienza unica. E non si trovano le parole per raccontare la bellezza di 800 chilometri a piedi. Una bellezza fatta di paesaggi, chiese, ma soprattutto di incontri. Con persone che giungono da tutto il mondo, credenti e non, di altre religioni. Abbiamo visto pellegrini con piaghe ai piedi che proseguivano. Abbiamo incontrato molta umanità…”.
Dilvo (sindaco di Saludecio dal 1995 al 2004) e Marino (dagli anni ’50 in Lombardia), dopo il volo in aeroplano a Madrid, raggiungono prima Pamplona e poi Roncisvalle. Una minuscola cittadina spagnola di mille abitanti in mezzo ai Pirenei, nella storia famosa per i paladini di Carlo Magno contro i musulmani, oggi conosciuta come ritrovo di partenza per raggiungere Santiago. Siamo il 7 agosto. La mèta viene tagliata il 5 settembre.
Ma perché si fa? Dilvo/Marino: “Come saludecesi siamo stati educati nel segno del beato Amato, che nel 1200 si fece tre volte Saludecio-Santiago-Saludecio. Riportando con sé, come prova del traguardo raggiunto, le conchiglie che si trovano soltanto in quel mare davanti alla cattedrale di Santiago. Dunque, tutto parte dal beato Amato e dal Medio Evo. Durante le nostre tappe, abbiamo portato il beato Amato e Saludecio in tutte le chiese che abbiamo incontrato sugli 800 chilometri, in tutto una trentina. Abbiamo consegnato ai vari preti un’immagine del beato e la foto dello spitale del beato Amato di Saludecio. Inoltre, raccontavamo i suoi viaggi e che è in corso la sua santificazione. I due segni li abbiamo lasciati anche nella cattedrale di Santiago”.
Viaggio nel segno della sobrietà. Hanno dormito in ostelli che in confronto quello saludecese potrebbe essere paragonato ad un cinque stelle. Uno, quello di Burgos, invece è gradevole: 200 posti letto confortevoli e in un bell’ambiente.
Ecco la loro giornata tipo in una regione della Spagna poco abitata, naturale e selvaggia, con le cittadine immuni dalle devastazioni della speculazione edilizia. Partenza tra le cinque e le sei del mattino; nello zaino in spalla qualcosa da mangiare e liquidi a volontà. Arrivo attorno alle tre del pomeriggio. La sera il menù del pellegrino: minestra di verdure, carne con patate, vino.
C’è anche una tappa organizzata e gestita dalla Confraternita di San Jacopo di Perugia. Il posto si chiama San Nicolas. In aperta campagna, senza luce, ti servono un piatto di pastasciutta che sembra la cosa più buona del mondo. Qui c’è anche il rito del lavaggio dei piedi che mette a dura prova il proprio pudore. In cerchio, con addosso la cappa della Confraternita, i volontari ricompiono uno dei gesti più umili di Gesù.
Dilvo-Marino: “In altre tappe c’erano altri riti, altri momenti fuori dai canoni. Ad esempio a Grignon abbiamo dormito nella canonica. Mentre, nell’oratorio noi viandanti siamo stati disposti in cerchio. Spente le luci, ti porgono una candela e ognuno deve esporre un desiderio nella propria lingua. Al termine, accesa la luce, uno per uno, ci si abbraccia”.
Da tutto il mondo, a centinaia, sulle strade ravvivate da una freccia gialle che ti indica la strada giusta per il santuario di Santiago, i due saludecesi hanno stretto amicizia con tre fratelli di Fano, due riminesi, un signore di Bologna, due di Pisa, uno di Brescia, un irlandese.
Ma dopo il viaggio, che cosa ti resta appiccicato addosso in una vita di fretta e di rapporti di lavoro? Marino/Dilvo: “Lo abbiamo fatto per una questione di fede e questa fede è stata rinsaldata. E’ un cammino di fratellanza. Dove c’è il senso dell’uno per l’altro. Dove tutti gli uomini sono uguali. Nonostante le tante vesciche, il mattino dopo riparti col sorriso”.
E a livello singolo? Calesini: “Ero praticante fino ad un certo punto. Avevo il desiderio di andare a messa la domenica ma c’era sempre una scusa buona per non farlo. Da allora non mi perdo una domenica, e mi prendo la vita in altro modo, senza stress. Mi incavalo ancora, ma rifletto molto di più”.
Polidori: “Esperienza unica. A dire il vero non ero molto praticante; forse ora un po’ di più”.
Per il Marino e Dilvo non è la prima volta a Santiago a piedi. Ci sono state due tappe di avvicinamento. Nel 2005, con un altro amico, in nove giorni, si fecero gli ultimi 200 chilometri a piedi in territorio spagnolo. Invece, nel 2007, percorsero gli ultimi 250 chilometri, partendo dal Portogallo.
Un loro desiderio: ‘Sarebbe bello se il cammino del beato Amato fosse fatto da qualche altro saludecese”.
SALUDECIO
Santiago, le cinque conchiglie del beato Amato
– Il Beato Amato Ronconi passò metà della sua vita in viaggio verso il santuario di Santiago. Per raccontare ai paesani la mèta raggiunta si riportavano con sé le conchiglie dell’Oceano Atlantico. Ne collezionò quattro. In viaggio per la quinta volta, un Angelo in sogno gli dice di ritornare indietro.
La sua vita. “Mistico asceta terziario francescano agricoltore ospite accogliente pellegrino monaco benedettino taumaturgo”, il beato Amato nacque verso il 1226 da una famiglia di agricoltori benestanti: il padre si chiamava Felice Ronconi, la madre Santa Marchini, il fratello maggiore Girolamo e la sorella minore Chiara.
Ci furono presto dissidi nella famiglia, perché la “dissimiglianza de’ costumi suol partorir inimicizia e dar luogo al domestico odio”. Amato fu odiato dalla cognata, accusato di “dapocaggine e d’infingardia” ed infine irriso come pazzo. “Divisa che ebbe l’heredità col fratello, andò ad abitare in una casa, la quale hora è detta “l’Hospitale del Beato Amato” posta nella strada publica, a pie del monte detto li Orciari”. Forse era la casa natale; qui percorse il suo cammino di santità.
Muore il 10 gennaio del 1292 a 66 anni.